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“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà. E mentre i rappresentanti delle Nazioni vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle Nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali, del lavoro, a sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della Società delle Nazioni”.

Iniziava così il celebre appello di Don Luigi Sturzo ai Liberi e Forti, pronunciato all’indomani della fine della Prima guerra mondiale, sancendo la nascita del Partito popolare italiano.

Ma quale futuro, oggi, si prospetta per i cattolici e la politica, e quale rapporto è possibile fra Chiesa e società in un momento storico in cui i punti di riferimento dell’ordine politico e sociale sembrano venir meno?

Di questo si è discusso in occasione dell’incontro “Liberi e forti. Cent’anni dopo. I cattolici, la politica e le sfide del terzo millennio”, ospitato dal Senato a Palazzo Giustiniani e organizzato dalla Fondazione Magna Carta.

“Si tratta di un tema cruciale e fondamentale”, ha esordito Giovanni Orsina, professore di Storia contemporanea e di sistemi politici e direttore della School of Government della Luiss, che ha aperto e coordinato i lavori. “Viviamo in un periodo storico di grande sconcerto, dubbio e paura; un momento di crisi e di dissoluzione dei punti di riferimento che l’ordine politico e sociale trovava in un rapporto con trascendenza e tradizione”. “Abbiamo assistito negli ultimi cinquant’anni alla dissoluzione di tutti gli assiomi e i valori da parte di una modernità critica che ha corroso tutto, finendo per corrodere anche se stessa”, ha concluso, interrogando i presenti in merito al futuro della società: “Costruire un ordine politico e sociale in condizione di nichilismo, è possibile o no?”

Partendo quindi da un’analisi storica del rapporto fra politica e cattolici, avanzata in primis dal consigliere parlamentare e storico Andrea Frangioni e dal Professore di Storia contemporanea Eugenio Capozzi, per poi giungere all’uso dei simboli religiosi da parte della classe politica moderna, gli speaker hanno convenuto nell’urgenza di ridefinire la relazione fra religione e politica, Chiesa e sfera pubblica nel tentativo di ripensare alle possibili soluzioni per il futuro. “È errato pensare che clero e religione non abbiano legami con gli affari temporali”, ha rimarcato il teologo Nicola Bux. “Bisogna anzi cogliere ogni occasione per dimostrare che non è così”.

Fra le dicotomie di maggiore interesse, quella avanzata da Vera Capperucci, professore di Storia contemporanea, che ha analizzato le interpretazioni politico-cattoliche di Giuseppe Dossetti e Alcide De Gasperi, in alcune parti ideologicamente contrapposte. “Il confronto fra De Gasperi e Dossetti è tutto dentro al partito e Dossetti rimane l’esponente politico che ha esercitato il più forte antagonismo rispetto a De Gasperi”, ha spiegato la professoressa, incanalando questa opposizione in tre punti cardine, quali “il rapporto tra fede e politica, il problema dello Stato e delle istituzioni e la questione del rapporto tra il partito e lo Stato”, tutti elementi che i due politici affrontavano in maniera divergente. “De Gasperi non amava essere definito cattolico liberale”, ha ricordato; “lui si definiva cattolico democratico; un cattolicesimo democratico ovviamente non di provenienza italiana”.

“Ma il cattolicesimo italiano non è un cattolicesimo liberale” ha fatto eco il già parlamentare e professore si Storia delle dottrine politiche Luigi Compagna. “Liberale è il cattolicesimo francese, ma il cattolicesimo italiano ha seguito un’altra direzione”.

A terminare l’ampio lavoro di analisi sui protagonisti della storia politico-cattolica, l’editorialista, saggista e vaticanista Sandro Magister, con una minuziosa disamina sui differenti approcci alla politica di Ratzinger e Bergoglio: “Ratzinger ha scritto molto sul tema della fede politica, concludendo però, citando Salomone, che l’unica necessità è distinguere il bene dal male”. L’approccio di Bergoglio invece è stato “profondamente differente”, con una visione completamente diversa.

A guardare al futuro è invece intervenuto Gaetano Quagliarello, presidente della Fondazione Magna Carta, che ha concluso i lavori enunciando i punti di rottura del rapporto fra politica e cattolicesimo nel corso della storia più recente. “Io credo che se vogliamo trovare un punto di snodo è l’11 settembre e le vicende ad esso seguite. Ma è il 2013 che a mio avviso può essere considerato un nuovo momento di periodizzazione, i cui esiti sono ancora in gran parte in fieri, ma in alcuni tratti già evidenti”.

Cattolici e politica a 100 anni dall'invito di Don Sturzo

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