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Può una procura della Repubblica, o anche solo un procuratore, dare indirizzi e prendere decisioni relativamente alla politica dell’immigrazione? Formulata così, la domanda presuppone una risposta negativa.

Può un procuratore lasciar correre eventuali reati, solo perché commessi nell’intento di affrontare i problemi posti dall’immigrazione? Anche in questo caso la risposta è negativa, ma di segno opposto. Quindi si può consentire alle procure di scegliere le politiche che preferiscono? O, più direttamente: di fare politica? E qui cascano gli asini.

Ad Agrigento un procuratore interviene e dispone il sequestro di una nave, dal che discende lo sbarco di quanti sono a bordo, ovvero emigranti in modo irregolare. A Riace un procuratore prima chiede l’arresto del sindaco, poi indaga chi dovrebbe succedergli, così smontando un esperimento indirizzato all’accoglienza. Ancora una volta due interventi di segno opposto. L’asineria, che si trascina da lustri, è osservare una iniziativa giudiziaria e intitolarla al “partito delle procure”, come se fosse un corpo omogeneo. Non lo è.

Hanno ragione ad Agrigento e torto a Riace? O viceversa? Oppure hanno entrambe ragione o entrambe torto? Non è aperto il dibattito, si dovrebbe aprire il dibattimento. Perché la seconda asineria, largamente complice il mondo dell’informazione, è lasciare intendere che la giustizia sia amministrata in procura, laddove è mestiere che tocca al tribunale. E i tribunali non funzionano, sono lentissimi, per cause mille volte ripetute. Se non funzionano poi capita che il pm infatuatosi di sé medesimo arresti e faccia tutto quello che lo porta in televisione, tralasciando il resto che sarebbe grigia fatica. Come nessuno si rivolge all’avvocato che perde tutte le cause, lo Stato dovrebbe difendersi (anche mandandolo via) dal procuratore che istruisce tutti i processi persi, perché gli fa dilapidare soldi, tempo e faccia. Ma siccome il verdetto arriva dopo lustri e, nel frattempo, ci hanno messo le mani in cento, va a finire che sono i peggiori a occupare il proscenio.

Una politica seria avrebbe da fare una sola cosa: far funzionare la giustizia. Inveire contro questo o quel pm, come è oramai dimostrato, serve a nulla e porta sfortuna. Come ottenere la prima cosa? Ripetuto mille volte, ma, a titolo esemplificativo: a) tempi certi (tutti perentori, via gli ordinatori); b) abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale; c) corrispondente inserimento della responsabilità (in negativo, ma anche in positivo) del magistrato; d) inappellabilità delle assoluzioni; e) separazione delle carriere.

Roba scontata nel mondo civile, ardua da noi. Se non si fa funzionare la giustizia resta un solo modo per evitare conflitti fra politica e giustizia: o si subordina la politica o si subordina la giustizia. Due pessime cose, perché entrambe uccidono sia il diritto che i diritti.

A che punto siamo? A un punto morto. Morto e putrefatto, perché la sola cosa fatta in questa legislatura è pessima: hanno cancellato la prescrizione dopo il primo grado, anche in caso di assoluzione. Idea incivile quante altre mai, figlia di una concezione dispotica, pernacchia in faccia alle vittime dei reati. Dice che ora fanno il resto. Con quella premessa non potranno fare nulla, ma proprio nulla di buono. Quindi mettetevi comodi e continuate a osservare gli scontri surreali che abbondano sugli schermi.

procure

Procure da sbarco? È la politica che deve far funzionare la giustizia

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