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sanitàInvecchiamento della popolazione, modernizzazione e difesa dell’universalismo. Queste le tre sfide più importanti che dovrà affrontare il Servizio sanitario nazionale secondo Marco Trabucchi, docente di Neuropsicofarmacologia presso l’Università Tor Vergata di Roma e presidente dell’Associazione italiana di psicogeriatria, intervistato in occasione del progetto “In scienza e coscienza”, nato dalla collaborazione fra Fondazione Roche e Formiche, con l’obiettivo di interrogarsi – e interrogarci – sul dibattito in merito alla libertà prescrittiva del medico e ai vincoli economici imposti dalla limitatezza delle risorse e dalla necessità di Regioni e aziende ospedaliere di gestire il contenimento della spesa sanitaria: come bilanciare le migliori cure con la sostenibilità finanziaria?

 

In che modo viene limitata la libertà precrittiva del medico dal dettato normativo e dai vincoli finanziari?

Io sono convinto che oggi non vi siano realmente dei vincoli. Se un cittadino ha bisogno di farmaci, anche costosi, il Sistema sanitario nazionale riesce a fornirglieli. Certo bisogna evitare sprechi, latrocini e atteggiamenti dettati da ignoranza. Ma oggi, in Italia, i pazienti possono ricevere tutte le cure di cui hanno bisogno.

La libertà del medico come si concilia con i vincoli del SSN e in che rapporto è con quelli dei payers? E dove si colloca secondo lei il punto di equilibrio?

Io sono convinto che il punto di equilibrio si collochi sempre nella preparazione e nelle competenze del medico, unico attore al quale spetta l’individuazione dello stesso. Io credo che il punto di incontro sia ancora facilmente raggiungibile, ma non sono certo che possa essere lo stesso nel prossimo futuro, quando andremo incontro a un forte invecchiamento della popolazione e al conseguente aumento delle malattie croniche. Oggi, però, non vedo difficile un punto di incontro tra la scelta del medico e il pagatore, ovvero il Sistema sanitario nazionale o regionale. Non vorrei, insomma, che i cittadini pensassero che il nostro sistema sia alla frutta: non è così, siamo ancora in grado, oggi e nel prossimo futuro, di garantirgli i trattamenti di cui ha bisogno.

Parliamo di innovazione e sostenibilità finanziaria. Quali sono le priorità per il nostro sistema sanitario e come si sceglie il bilanciamento tra le diverse, e ugualmente importanti, rispetto dei vincoli di bilancio?

Io sono convinto che la modernizzazione, in particolare dalla robotica e dall’intelligenza artificiale, produrranno, se applicati in maniera corretta, anche dei risparmi. Perché si eviterà di curare chi non ne ha bisogno, di intervenire in situazioni non necessarie, di fare un eccesso di trattamento. Certo, per raccogliere i big data è indispensabile che il Sistema sanitario si organizzi e che investa per avere una disponibilità di dati utili all’analisi. Il risparmio e l’ottimizzazione dei vantaggi per il paziente che ne conseguirebbe merita ampiamente gli investimenti necessari. Il punto vero è che l’Italia deve restare all’interno della corrente del progresso che nel resto del mondo sta procedendo a passi lunghi. Se si va in una direzione di progresso a livello internazionale e l’Italia saprà seguirla, allora anche noi potremo ottenere grandi vantaggi.

Secondo lei che effetto può avere l’instabilità governativa sulla necessità di programmare gli investimenti per la modernizzazione della sanità?

Non lo so. Mi auguro che il nuovo governo riesca a dare nuovo respiro. La politica ha bisogno oggi di occuparsi di più delle fragilità, delle malattie croniche, dell’invecchiamento della popolazione. I servizi per questo 25% dei cittadini non sono adeguati alla grandezza dell’Italia. Il nuovo governo dovrebbe andare in questa direzione e stimolare la ricerca scientifica per evitare che i nostri giovani vadano all’estero. Ecco, direi che dal punto di vista della sanità, la politica dovrebbe percorrere due strade: da un lato le fragilità dei più bisognosi, dall’altro e quello della grande tecnologia innovativa che si ottiene con una buona ricerca scientifica.

Quali sono le sfide che pone al nostro SSN il progressivo invecchiamento della popolazione italiana? Come si può rispondere in maniera virtuosa?

La politica deve darsi da fare perché fino ad ora non ha preso minimamente in considerazione questo problema. Deve prima di tutto iniziare a capire il problema perché ora è “ignorante”, quindi quello che deve fare è imparare, studiare i numeri, conoscere le best practice straniere. In un secondo momento deve offrire le risposte, fornire i servizi per gli anziani negli ospedali, nelle case di riposo e sul territorio. Fino ad ora non ha fatto niente, ha lasciato gestire il problema a una classe medica non sempre attenta, spesso generica in questo campo. La politica deve riprendersi il suo ruolo sapendo che non è tutto così disastroso. Certo, se la questione non sarà affrontata opportunamente si spenderà sempre di più.

Si intravedono strade che possono allontanarlo dall’universalismo?

Sì, se continuiamo a tagliare i fondi, a sostenere che i cittadini devono sottoscrivere assicurazioni private e se infondiamo nelle persone il pessimismo per un sistema che invece le protegge, certo che l’universalismo andrà in crisi. Ma se investiamo anche poco – non servono tantissimi soldi – bastano 2-3 miliardi in più all’anno, se agiamo affinché i cittadini si fidino del sistema e facciano prevenzione, se agevoliamo le politiche di welfare aziendali la strada dell’universalismo non la perdiamo.

Quali sono, secondo lei, i rischi e le opportunità dell’impiego dei big data in medicina? Ci sono prospettive positive per gli aspetti diagnostici? La privacy dei pazienti e sufficientemente tutelata? 

Io sono assolutamente favorevole a questo grande sviluppo dei big data. Certamente ci sarà qualche problema di privacy che, in ogni caso, già non è protetta. Se mettiamo a disposizione un pezzetto della nostra privacy per il benessere collettivo, tutto andrà meglio. Il vantaggio delle nuove tecnologie è così forte che anche qualche piccolo sacrificio può essere accettato.

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