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Russa, Cina o Stati Uniti? Che direzione sta prendendo la politica estera del governo gialloverde? È bene chiederlo ai gialli, visto che i verdi su quel dossier (l’unico) hanno perso un po’ la presa negli ultimi mesi. Prova ne è la visita pantagruelica del presidente cinese Xi Jinping a Roma con i relativi accordi firmati. Un evento pianificato dalla Farnesina e dal sottosegretario al Mise Michele Geraci su cui i pentastellati hanno voluto mettere il cappello fin dall’inizio. A loro dunque oggi spetta chiarire a chi guarda un po’ perplesso da fuori dove sta andando il Paese. Nelle officine H, al Sum di Ivrea, appuntamento annuale in onore di Gianroberto Casaleggio, c’è chi di politica estera, per lavoro e per passione, se ne intende. Ne abbiamo fermati tre, tutti big del Movimento capitanato da Luigi Di Maio. Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento Ue e punta di diamante della squadra a Strasburgo, pronto a fare il bis alle europee di maggio. Vito Crimi, sottosegretario all’Editoria con un passato nel Copasir, il centro nevralgico delle scelte strategiche del Paese. E Manlio Di Stefano, il sottosegretario agli Esteri che ha imparato a memoria le regole del gioco ma stenta ancora oggi a cedere al freddo linguaggio diplomatico, dicendo sempre tutto, ma proprio tutto quel che pensa.

Si parte dal nodo cinese. C’è poco da girarci intorno, gli americani non l’hanno presa bene. Mesi di moniti da Washington sui rischi di un sodalizio commerciale con Pechino si sono rivelati inutili, andati in frantumi con un paio di photo-opportunity. Donald Trump ha già dato prova di perdonare a fatica chi gli fa uno sgarbo. A Ivrea però regna la calma più sovrana. Gli addetti ai lavori garantiscono: niente allarmismi, sono intese commerciali come ce ne sono tante altre e gli Usa ci hanno capito. “Non diamo un significato geopolitico al memorandum, ma commerciale – ci spiega Castaldo di fronte a un caffè. “Oggi la Germania esporta in Cina 97 miliardi di euro in merci, l’Italia 15. Il memorandum serviva per colmare questo gap”. I cinesi entreranno con i loro prodotti in Europa e non c’è nulla che si possa fare per fermarli, dice sicuro l’eurodeputato. “L’export cinese arriverà comunque nei nostri mercati. Possiamo vigilare sul rispetto delle regole, ma non opporci a questo fenomeno, perché lo subiremmo. Non capisco perché Amburgo e Rotterdam possono avere un traffico da 300 milioni di tonnellate l’anno e i nostri porti non possano invece crescere”.

Sono solo allarmismi, gli fa eco Crimi. Il sottosegretario ci mette una mano sul fuoco: “con gli Stati Uniti non si è incrinato nulla”. Poi la frecciatina ai “cugini d’Oltralpe”. Macron, dice, “prima ci ha criticato e poi ci ha seguito sulla stessa strada vendendo gli aerei ai cinesi. Forse non è piaciuta la fuga in avanti dell’Italia, che per la prima volta ha preso un’iniziativa autonoma e nel pieno rispetto della normativa europea”. Di Stefano butta acqua sul fuoco. “Ho incontrato l’ambasciatore Eisenberg prima della firma degli accordi e ha compreso perfettamente le nostre motivazioni”. Appunto, prima degli accordi, gli facciamo notare. “Ma non è neanche un accordo – ribatte il vice di Moavero – è un memorandum che fa da apripista in Europa, perché è stato scritto con un linguaggio europeo, cioè includendo le clausole su level-playing field e open procurement”.

Nulla è compromesso, dicono in coro al Sum. E però il groviglio cinese non è l’unico a far storcere il naso agli alleati atlantici. A Washington c’è chi inizia a spazientirsi della fascinazione russa dei due principali partiti italiani.  L’archiviazione (momentanea) del polverone Russiagate non cambia nulla. Con la Russia di Vladimir Putin la tensione è alle stelle, come dimostra il caso venezuelano. E alla Casa Bianca non piace che un alleato storico come l’Italia continui a guardare ad Est. A metterci il peso da 90 un’inchiesta di Repubblica assieme ad altre tre testate internazionali (Bbc, Der Spiegel, Zdf). Nell’occhio del ciclone un documento del dipartimento per la Politica Estera della presidenza russa risalente al 2017 in cui Lega e Cinque Stelle sono indicati come i partiti con cui stabilire a tutti i costi “una rete informale” di rapporti e rilanciare la narrazione filo-russa.

“Ci risiamo coi russi” è la reazione seccata dei nostri pentastellati. I Cinque Stelle sono il cavallo di Putin in Europa? “Dipende cosa intendiamo per cavallo su cui puntare – risponde fermo Castaldo – Abbiamo sempre sostenuto una linea di dialogo e mediazione perché la Russia è un Paese europeo e un grande partner globale. Ciò non significa nascondere le proprie rimostranze, ma bisogna farlo mantenendo sempre un confronto costruttivo”. Italy first: “Non siamo pro-qualcuno, mettiamo sempre al centro il nostro Paese”. La Russia potrà anche guardare ma non può comprare, è il riassunto di Di Stefano. “C’è sicuramente una certa malizia da parte di Paesi non alleati storici dell’Italia, che vedono nei nuovi partiti europei la possibilità di un ricollocamento geostrategico, questo non vuol dire che in noi trovino una sponda, come governo abbiamo ben chiara la centralità dell’Alleanza Atlantica. L’ex Copasir Crimi non si scompone. “Tutti gli Stati in politica estera ragionano analizzando i loro concorrenti. Non mi stupirei che la Russia abbia fatto questo ragionamento, anzi mi stupisco del polverone che si è alzato. Se l’Italia dovesse espandersi economicamente in un altro Stato farebbe lo stesso tipo di valutazione”. Di più: butta la palla nel campo dell’alleato di governo, con una battuta al fiele. “Il Movimento Cinque Stelle non sarebbe un buon cavallo, non ha una struttura e talvolta fa fatica a capirsi da solo, ha gli anticorpi. Forse altri partiti sono più strutturati…”.

Con Washington, Mosca o Pechino? La versione dei M5S al Sum di Ivrea

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