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Parte con un provvedimento dal forte significato simbolico il primo Consiglio dei ministri dell’era del Conte 2. Su proposta del ministro dello Sviluppo economico, il pentastellato Stefano Patuanelli, l’esecutivo ha deliberato l’esercizio dei poteri speciali su alcune delle notifiche presentate da Fastweb, Linkem, Tim, Vodafone e Wind in relazione ai contratti di fornitura stipulati con fornitori di tecnologia 5G, tra i quali figurano anche le cinesi Huawei e Zte.

LA MOSSA DEL GOVERNO

Considerate le tensioni internazionali che da tempo avvolgono il dossier reti, con gli Usa che consigliano a partner e alleati di non utilizzare tecnologia di player della Repubblica Popolare, la decisione del Cdm – che dà il disco verde all’utilizzo di queste tecnologie a patto che le telco si attengano ad alcune prescrizioni per non mettere a rischio la sicurezza nazionale – lancia un segnale molto chiaro di attenzione agli Stati Uniti sulla nostra affidabilità (giunto, come spesso accade, sul filo di lana).

UNA SCELTA NECESSARIA

Arrivati a questo punto si trattava infatti di una vera e propria necessità. La mancata conversione del decreto legge di riforma del golden power (ci sarebbe stato tempo fino al 9 settembre) che allungava i tempi di notifica e di istruttoria anche per l’applicazione dei poteri speciali anche per le reti, ha spinto il governo in carica ad esaminare subito la questione. In caso contrario, decaduto il decreto, ci si sarebbe trovati di fronte a un vuoto normativo, con le forniture svicolate da prescrizioni o obblighi per scadenza dei termini.
Ciò non vuol dire che non si debba più intervenire da un punto di vista legislativo, ma lo si farà con maggiore tranquillità. Ed è probabile che successivamente, in quest’ottica, lo si farà prendendo alcuni degli aspetti previsti nel decreto ormai decaduto e trasferendoli nel provvedimento – già approvato in uno degli ultimi Cdm del governo gialloverde – che ha istituito il perimetro nazionale di sicurezza cibernetica.

LO SCENARIO

Da tempo, racconta Formiche.net, gli Stati Uniti avvertono gli alleati dei pericoli derivanti dall’implementazione di apparati prodotti da compagnie cinesi come Huawei o Zte. E il pressing sui colossi di Pechino – come dimostrano le ultime accuse rivolte negli Usa al gigante di Shenzhen – non accenna a calare. Tuttavia, nonostante questa campagna di sensibilizzazione, l’Italia ha dato finora una risposta non chiara a questi timori, adottando scelte che sono il frutto di diverse visioni in seno alla maggioranza gialloverde (con il partito guidato da Luigi Di Maio più vicino alla Cina e la Lega di Salvini contraria a un’entrata dei colossi di Pechino nelle nuove reti).

I PERICOLI NON AFFRONTATI

Il risultato di queste divergenze sono stati il lasciar decadere il decreto per rafforzare il Golden Power per le reti e il non procedere alla rapida ma decisiva implementazione del Cvcn, il centro di valutazione e certificazione istituito presso il Mise che dovrebbe, nelle intenzioni, controllare che hardware e software da utilizzare in settori critici non siano affetti da pericolose vulnerabilità (il nuovo perimetro nazionale per la sicurezza informatica ha tempi più lunghi). Tanto più che l’Italia, a differenza di altri Paesi, ha deciso di non escludere a priori i player cinesi come invece chiedeva Washington (che col 5G non vede più molta differenza tra la protezione della parte core e la rete periferica), ma di basare le sue decisioni su un’analisi tecnica delle apparecchiature. Decisioni, queste, criticate dagli addetti ai lavori e da alcuni esponenti politici.

UNA NUOVA LINEA?

Ora, il primo passo compiuto dal governo Conte 2, potrebbe lasciare ben sperare. Si tratta infatti di una misura che non risolve del tutto alcune problematiche elencate, ma che consente di guadagnare un po’ di tempo per dare una risposta strutturale alle necessità di sicurezza che contraddistinguono i nuovi apparati.

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