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La composizione dell’esecutivo ha diversi aspetti interessanti, ma va riconosciuto ai due partiti di maggioranza (acerrimi nemici fino a quattro settimane fa e pronto a giurare che mai avrebbero fatto un governo insieme) di avere messo in campo una squadra dignitosa. Detto ciò, va evidenziato subito il punto centrale di ogni discussione futura, che non a caso riguarda l’unico ministero assegnato a una figura “tecnica”.

Per arrivarci però facciamo un passo indietro e, per quanto possibile, recuperiamo un po’ di memoria. In tutto il mondo (e quindi anche in Italia) il ministero della sicurezza nazionale ha enorme peso politico, soprattutto da quando i temi dell’immigrazione sono diventati elettoralmente decisivi. Infatti nelle ultime due legislature (2008-2018) lì sono andate figure politiche di primo piano, cioè Maroni nel governo Berlusconi (quindi il più importante esponente di governo della Lega dell’epoca), poi Alfano con Renzi (quindi il leader del secondo partito della coalizione) e infine Minniti con Gentiloni (cioè il dirigente del Pd con maggiore esperienza in materia di sicurezza). Coerente a questo principio è stata anche l’indicazione di Salvini nel governo giallo-verde, perché proprio lì ha voluto collocarsi il capo del secondo (poi divenuto primo con il voto europeo) partito di maggioranza.

Nell’equilibrio giallorosso però si sceglie una figura tecnica, nella persona del prefetto Luciana Lamorgese (già Capo di Gabinetto al Viminale nei governi Letta e Renzi e poi prefetto di Milano). Scelta molto interessante sia sotto il profilo della persona individuata che per il suo significato politico ed istituzionale, scelta che vale la pena esaminare.

Punto primo, la persona. Luciana Lamorgese ha tutte le caratteristiche per sorprendere il grande pubblico, perché presto avremo evidenza del fatto che ci troviamo di fronte ad una figura certamente tutta “istituzionale”, ma non per questo ingessata o pavida. Insomma scommetto che vedremo all’opera un ministro dell’Interno di determinazione irriducibile e di assoluta capacità operativa, in grado di reggere la scena anche in una dimensione a forte caratura politica.

Punto secondo: il conteso allargato in cui dovrà operare. Qui la situazione si complica assai e per capirlo basta dare un’occhiata a quanto succede in giro per il mondo. Ebbene cosa fanno le forze politiche di destra quando sono all’opposizione e cercano di guadagnare consensi per vincere le elezioni? Essenzialmente picchiano duro sui temi della sicurezza (e dell’immigrazione). La regola è sempre questa ed è una regola che ha dato grandi frutti. Si pensi all’Europa (Austria, Polonia, Ungheria, Grecia, Gran Bretagna), ma si guardi anche al Sud America (Brasile, Argentina) o all’Oceania (Australia), per non parlare di India, Filippine e Usa, dove i governanti sono tutti nazionalisti e conservatori, con posizioni assolutamente di destra in materia di sicurezza e immigrazione. Non c’è quindi motivo di pensare che le cose andranno diversamente in Italia, non appena la Lega ritroverà il filo della sua narrazione politica dopo il terremoto d’agosto.

Anche perché la crisi di governo più pazza del mondo (cioè quella che con oggi ci lasciamo alle spalle) ci consegna un sistema politico nazionale (di fatto) bipolare e riportato (pur con qualche anomalia) ad una dinamica classica destra-sinistra, con la nuova coalizione giallorossa a fare quello che forse Grillo auspica da sempre (ricordiamo tutti quando chiese la tessera del Pd, che però gli fu negata).

Ebbene in questo contesto la maggioranza dovrà rivedere la linea Salvini in materia di sicurezza&immigrazione, imprimendo una svolta di sinistra (perché questa è la cifra politica del governo) senza però perdere il contatto con la sensibilità della maggioranza degli italiani. Non sarà impresa facile, anche perché il (rinato) sistema bipolare finisce inevitabilmente per rendere più compatte le forze di opposizione (FI e FdI in primo luogo), che (mese dopo mese) troveranno momenti d’intesa più forti (anche se la diversa collocazione europea peserà non poco e renderà questo processo assai travagliato).

Ecco quindi lo stato dell’arte: al Viminale va un super tecnico di grandi capacità e ci va con la stima assoluta delle forze politiche di governo e la (decisiva) benedizione del Quirinale. Ma quella che dovrà giocare il prefetto (da qui in poi ministro) Lamorgese sarà un partita tecnica al 25% e tutta politica per il resto.

E sarà una battaglia durissima, questa è l’unica certezza che abbiamo.

La partita vera si gioca al Viminale

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