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Sembra che, prima di decidersi per Giurisprudenza, il presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte avesse pensato seriamente di iscriversi a Filosofia. In effetti, a ben vedere, questa sua passione recondita per quella che un tempo si chiamava pomposamente la “regina delle scienze” sembra essergli rimasta.

Già all’epoca del governo gialloverde, Conte, per un attimo sottrattosi alle diatribe fra gli allora due suoi vice, aveva stupito tutti recandosi in visita a Brescia dal più speculativo e teoretico dei filosofi attuali italiani: Emanuele Severino. Ricavandone addirittura una intervista che il quotidiano La Repubblica pubblicò sulle due pagine culturali. Non va nemmeno dimenticato che in un altro intervento, sempre sul quotidiano di Scalfari, egli aveva citato il più tormentato dei discepoli di Martin Heidegger: quello Hans Jonas autore di un importante, ma pure spesso frainteso, libro sul “principio di responsabilità” (manco a farlo apposta il maggior studioso italiano di Jonas è Paolo Becchi, che è stato per un certo periodo l’ideologo dei Cinque Stelle).

Ora, questa passione forse non coltivata per la filosofia sembra venir fuori in tutta evidenza in questi giorni, soprattutto con gli accenni continui che Conte fa alla necessità per il nostro Paese di un “nuovo umanesimo”. Capisco le perplessità che, in un filosofo colto e raffinato quale Benedetto Ippolito, le uscite “filosofiche” del presidente incaricato indubbiamente destano. Anche perché quello di umanesimo è un concetto filosofico quanto mai scivoloso e la cui fortuna è tanto più forte presso la Midcult di macdonaldiana memoria (diciamo pure il “ceto medio riflessivo”) che non verso i filosofi di professione. Almeno da Nietzsche in poi, infatti, la “crisi del soggetto”, da concepirsi in senso ontologico e non congiunturale, è direi quasi un dato acquisito. E lo stesso Jonas, memore della lezione heideggeriana, rimette al centro del suo pensiero la natura proprio in un’ottica antiumanistica.

Eppure, un viatico per uscire dall’impasse filosofica, il presidente del Consiglio pure lo avrebbe. E sicuramente corrisponderebbe alle sue corde, a quelle voglio dire del cattolico praticante. Mi riferisco al pensiero di Jacques Maritain, che nel 1968 raccolse una serie di sue lezioni sotto il titolo di Umanesimo integrale. Il filosofo francese, amico di Alcide De Gasperi e fra l’altro guida spirituale di Paolo VI, conscio delle difficoltà concettuali legate al termine, aveva distinto allora due tipi di “umanesimo”: quello antropocentrico, che aveva trionfato con tutti i suoi limiti nella modernità, e quello teocentrico, che secondo lui andava invece ora promosso. Lungi dall’essere un ossimoro, l’umanesimo teocentrico avrebbe permesso, secondo Maritain, di esaltare l’individuo, anzi la persona umana, ma solo nella misura in cui l’uomo fosse stato conscio fino in fondo della sua finitezza e anche del fatto che la sua centralità nell’universo dipende dall’essere egli figlio di un Dio che lo ha fatto, per una certa parte, a propria immagine e somiglianza.

Il fatto che Conte citi spesso in questi giorni anche il concetto di “sostenibilità”, che ha in verità anch’esso da un punto di vista filosofico tanti lati oscuri e sacche di ambiguità non irrilevanti, porterebbe a pensare che questa direzione di pensiero sia quella giusta. Se non altro per il richiamo che il concetto di “sostenibilità” contiene implicito alll’idea di “limite”. In effetti, il limite, se correttamente interpretato (non come “decrescita felice”, per intenderci), risulta essere consustanziale alla stessa idea di libertà.

D’altronde, il senso ultimo della responsabilità a cui richiamava Jonas era proprio questo. Il cerchio, se Conte ne fosse consapevole, finirebbe per chiudersi. E l’orizzonte ideale tracciato, personalistico-sociale-cristiano, sarebbe senza dubbio più accettabile per un liberale che non quello fondato sulla retorica dei diritti che il Pd cercò di avvalorare nella sua precedente esperienza governativa.

Umanesimo e sostenibilità. La filosofia di Conte letta da Ocone

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