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Se non è iniziata la campagna elettorale, almeno pare possano esserne state fissate le premesse. Dopo il secondo giorno di consultazioni al Quirinale – nel quale hanno sfilato di fronte al Presidente della Repubblica tutte le principali forze politiche – la prospettiva del voto sembra potersi avvicinare. Sensazione già forte questa mattina dopo le tre condizioni stringenti avanzate da Nicola Zingaretti ai cinquestelle – via i decreti sicurezza, pre-accordo sulla manovra, stop al taglio dei parlamentari – che si è fatta ancora più intensa nel pomeriggio quando Luigi Di Maio è uscito dal colloquio con Sergio Mattarella.

Il capo politico del MoVimento 5 Stelle ha risposto ai dem, pur senza citarli in alcun passaggio, con quelli che ha definito “dieci obiettivi prioritari per l’Italia“. Dieci impegni dal sentore di campagna elettorale tra i quali Di Maio ha menzionato pure il taglio dei parlamentari, espressamente bocciato almeno in questa forma da Zingaretti. E poi un’altra lunghissima serie di riforme – dalla Rai alla giustizia, passando per il Sud e per il sistema bancario – che è vero lascerebbero intravedere la prospettiva di un governo di lunga durata ma che difficilmente si spiegano in questo momento in cui la legislatura appare sempre più appesa a un filo. A meno di non voler lasciare aperta la possibilità di una nuova alleanza con la Lega o di anticipare o preparare la prossima corsa al voto. A cui non è escluso che aspiri Zingaretti, apparso in questi giorni intento a fare e disfare la tela di Penelope con il possibile obiettivo di spingere verso le urne. D’altro canto il segretario del Pd ha alzato di giorno in giorno la posta – certamente sui temi, ma forse pure sui nomi di un’eventuale esecutivo giallorosso (qui la nostra intervista ad Antonio Misiani) – quasi a spingere i cinquestelle verso il no. Le elezioni, d’altronde, permetterebbero al Pd zingarettiano di drenare numerosi consensi ai pentastellati e di stoppare, almeno per ora, i propositi di rinnovata centralità di Matteo Renzi che ha bisogno di tempo, e di una nuova legge elettorale proporzionale, per portare a termine il suo progetto di creare un nuovo partito.

Una tela in cui potrebbe essere rimasto incastrato il M5s, tra tutti il partito in teoria meno interessato ad andare a elezioni in questa fase, attraversato da non irrilevanti tensioni interne con una parte decisa a trovare l’accordo con il Partito democratico e un’altra, quella che fa riferimento a Di Maio, assai meno propensa in tal senso. Quest’ultima, anzi, potrebbe coltivare ancora l’idea di una ritrovata intesa con la Lega, come farebbero ipotizzare le parole del ministro dello Sviluppo economico che ha inserito l’autonomia differenziata tra le sue dieci priorità. In quest’ottica parrebbe non essere casuale l’utilizzo dell’espressione “interlocuzioni” con cui Di Maio ha concluso il suo intervento al Quirinale: quasi a lasciare intendere che la porta nei confronti di Matteo Salvini è socchiusa, ma non del tutto serrata. Un’ambiguità probabilmente voluta, che si può riscontrare anche nelle parole che Di Maio ha speso sul tema delle elezioni: “Il voto è un’ipotesi che non ci intimorisce affatto ma non può essere una fuga dalle promesse fatte agli italiani“. Tutto e il contrario di tutto, anche per non rimanere con il cerino in mano che, d’altra parte, non vuole neppure Zingaretti. Spetterà al presidente Mattarella dire agli italiani se la fiammella per un esecutivo è ancora accesa oppure se il Paese deve prepararsi al voto.

Il voto è più vicino (aspettando Mattarella). Zingaretti Penelope ringrazia Di Maio

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