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Lunedì si vota la fiducia al governo. Giovedì chi ha incassato la fiducia sostiene che non c’è più maggioranza. Venerdì presenta una mozione di sfiducia contro il presidente del Consiglio, ovvero contro il governo che compone e che sosteneva sarebbe durato cinque anni, deridendo quelli che prevedevano elezioni anticipate. Può anche darsi che chi ha gioito per la chiusura di porti che non sono mai stati chiusi sia pronto a festeggiare anche questo, ma può anche darsi che qualche conto non torni.

A proposito: che è successo? Perché si deve essere creduloni assai per abboccare all’idea che il governo caschi perché si fa la Tav e caschi per mano di quelli che vogliono la Tav. Non ha senso, manco nel mondo capovolto. La sola cosa successa, a ben vedere, è che non è successo nulla e che un governo sconclusionato, nato dall’enormità di un presunto contratto, non sia caduto prima su qualche cosa di serio, sicché la sua navigazione sarebbe continuata verso le rapide dei conti pubblici: il 27 settembre si presenta la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza; il 15 ottobre si spedisce alla Commissione il Documento programmatico di bilancio; il 20 ottobre si presenta in Parlamento il disegno di legge relativo al bilancio. Vista la scontata schiuma all’orizzonte una parte dell’equipaggio si butta fuori dalla barca e pretende d’affondarla, perché non si dica che l’ha abbandonata. Sono i conti che non tornano, ma l’operazione fuga non poteva essere più scomposta. Schettinesca.

E ora? Si tratta di capire se tutti i parlamentari e, poi, tutti gli italiani, sono incapaci quanto i pentastellati (meravigliosa l’idea che si possa sciogliere il Parlamento solo dopo avere approvato la riduzione dei parlamentari, in modo da rendere più comoda la vittoria dell’avversario). Perché ci sono aspetti grotteschi e drammatici. Alla prima categoria appartiene il fatto che se una forza di governo, la parlamentarmente meno consistente, presenta una mozione di sfiducia e se gli altri non sono così fessi da votarla, ma ancora riescono a mescolare assenze ed astensioni, il governo prende la maggioranza. Che neanche Grillo quando faceva ridere e prima di cominciare a spingere l’Italia verso il ridicolo. Alla seconda, purtroppo, che s’imposti la campagna elettorale all’insegna di meno tasse e più spesa, in una gara dissennata a chi scassa prima quel che ancora consente ricchezza e benessere, che s’immagini l’Italia vassalla di Mosca e nemica di Berlino e Parigi.

E allora? Allora il problema non è affatto quel che succede in Parlamento o quel che non sanno fare al governo, ma quanto gli italiani abbiano ancora voglia di capire e quanto preferiscano essere presi per scemi, quanto hanno ancora la dignità di guardare in faccia la realtà e quanto preferiscano tapparsi gli occhi e affidarsi a chi chiede i pieni poteri dopo avere avuto ben più potere di quel che sa gestire. Ancora una volta, quando rintoccano le ore della storia, il problema non è nelle miserie del palazzo, ma nella voglia popolare di trovare in quelle il modo per barare con la realtà. Che vince sempre.

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