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Capita spesso a quelli bravi di non essere a proprio agio (forse proprio perché sono bravi). Esattamente questo sta capitando a Giancarlo Giorgetti, il più esperto leghista al governo, il più ragionevole e preparato tra i dirigenti del movimento di Salvini, il più solido collegamento tra la Lega prima maniera (prima il Nord, secondo il dogma di Umberto Bossi) e quella di oggi (prima gli italiani, nella versione riveduta e corretta dal Capitano).

Giorgetti è alla Camera dal 1996, superato per longevità parlamentare solo da Calderoli (eletto per la prima volta nel 1992). Ha vissuto tutte le fasi del regno incontrastato ed incontrastabile dell’Umberto, mostrando lealtà ma mai servilismo. Ha fatto anche il segretario della Lega Lombarda, segno di una leadership territoriale da lui sempre curata con attenzione.

Però, a differenza di Calderoli (che avrebbe tanto voluto fare il presidente del Senato ma all’ultimo momento non ha trovato il sostegno pieno di Salvini, almeno così si dice a mezza bocca tra i leghisti) e Maroni (l’uomo di governo per eccellenza della Lega, nonché successore di Bossi alla guida del partito e poi presidente della Lombardia), solo Giorgetti riesce ad entrare davvero in sintonia con Salvini, che guarda tutti con sospetto (quindi anche Giorgetti, perché così vuole la regola della leadership), ma alla nascita del governo Conte gli affida (non senza un pizzico di perfidia) il ruolo di maggior prestigio dopo il suo, cioè quello di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Insomma una “promozione” (pur con tutte le avvertenze del caso), che fa subito del nostro l’interlocutore privilegiato di gran parte dell’Italia che conta, anche perché la diffidenza verso i grillini è forte ed il prof. Conte, pur stimato, è decisamente poco noto nell’establishment. Con il passare dei mesi però l’insofferenza di Giorgetti monta ed ormai è diventata palese, come testimoniano molte sue uscite pubbliche, pur caratterizzate da una (ormai rara) sobrietà nella scelta dei vocaboli.

A tutto ciò si aggiunge recentemente l’ipotesi di candidarlo alla Commissione Ue, ipotesi da lui sempre osteggiata e che tramonta definitivamente dopo il colloquio di giovedì con il Capo dello Stato. Veniamo allora al punto, che non può essere eluso se vogliamo evitare di menare il can per l’aia. Giorgetti è bravo ma il suo posto non è a Palazzo Chigi come sottosegretario alla Presidenza e non è a Bruxelles come commissario.

Metterlo in quei ruoli (o candidarlo) è segno di scarsa lucidità nell’assegnazione delle poltrone ed anche di un certo provincialismo nel valutare lo scenario internazionale. Siccome però le situazioni sono diverse, vale la pena esaminarle una per una, cominciando dal governo italiano. Giorgetti è la persona sbagliata a Palazzo Chigi per il semplice fatto che il ruolo di sottosegretario alla Presidenza funziona se funge da braccio destro (il più possibile lontano dai riflettori) del premier, mentre non funziona se gioca in proprio sulla scena politica.

Andavano benissimo Andreotti con De Gasperi, Amato con Craxi, Letta con Berlusconi, tanto per fare qualche esempio. Oppure, guardando a sinistra, Minniti con D’Alema e Lotti con Renzi. Insomma in quel ruolo ci vuole una persona di fiducia del Capo del governo, in grado di sistemare cose mentre l’altro è in viaggio o fa una conferenza stampa.

Se invece si interpreta quel ruolo come politicamente attivo (Boschi con Gentiloni, tanto per capirci) le cose non funzionano, per il semplice fatto che il premier vede il suo sottosegretario più come una “talpa” che come un risorsa. Giorgetti però è la persona sbagliata anche per Bruxelles, per il semplice fatto che è un vero leghista, quindi incompatibile con una commissione guidata dalla Ursula von der Leyen, che ha nei sovranisti i suoi acerrimi rivali.

L’Italia (ed è il vero disegno di Conte) potrà portare lì soltanto una persona “compatibile” con il contesto, anche perché la nuova presidente della Commissione non farà sconti, come ha già lasciato intendere (e ancor meno ne farà il Parlamento quando sarà chiamato a pronunciarsi). Dunque Giancarlo Giorgetti da Cazzago Brabbia (Va), bocconiano (non posso che gioirne, essendo la mia università) e uomo di mediazione non andrà a Bruxelles e non vede l’ora di allontanarsi da Palazzo Chigi. Ha perfettamente ragione e, nel secondo caso, avrebbe fatto meglio a prevenire anziché curare.

Giorgetti, l'uomo giusto nei posti sbagliati

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