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“Siamo armati”. Un post su facebook, e una foto del “Capitano” Matteo Salvini con un mitra in mano, circondato da carabinieri. Tanto è bastato a Luca Morisi, spin-doctor fedelissimo del segretario leghista, per gettare benzina su un clima politico già arroventato. Un invito alle armi? Certamente no. Ma l’uscita ha prodotto un clamoroso assist al largo fronte anti-Salvini: dalla sinistra dem che chiede a gran voce le dimissioni, a Roberto Saviano che invita i suoi follower a denunciare Morisi per istigazione alla violenza.

È l’ennesimo sintomo di un’escalation nella comunicazione politica che non è più gestibile dai soli addetti ai lavori, e deve fare i conti con il megafono dei social network che riescono a trasformare un post irruento o un tweet ironico in una nuova chiamata alle armi fra opposte tifoserie.

“Servirebbe una tregua, ormai i leader sono diventati follower, ma un vero leader sa anche quando fermarsi” spiega a Formiche.net Luigi Di Gregorio, docente di Scienza politica e comunicazione politica all’Università della Tuscia e alla Luiss School of Government, già responsabile dei social network del comune di Roma con Gianni Alemanno sindaco, in libreria con “Demopatia. Sintomi, diagnosi e terapie del malessere democratico” (Rubbettino).

Partiamo dal polverone sul post di Morisi…

Conosco Morisi di persona, non credo proprio avesse alcuna intenzione di istigare alla violenza, anche se questo è il messaggio che passa con un post del genere. È un effetto perverso, non calcolato. Anni fa, nessuno avrebbe immaginato di fare un post come questo, se oggi è possibile è perché viviamo in una società dove bisogna di continuo fare colpo per catturare il pubblico. L’alluvione informativa ci costringe a lasciare un segno per essere notati, e non c’è emozione più forte della paura per farlo.

Quando e come si può fermare questa escalation?

C’è sempre un punto di caduta. Negli ultimi anni il clima politico si è molto radicalizzato, per conquistare l’opinione pubblica si alza sempre più l’asticella e questo porta a polarizzare e radicalizzare il dibattito politico, a trascinarlo su posizioni tribali. È un circolo vizioso che dovremmo fermare.

Come siamo arrivati a questo clima?

Semplice. Il mercato della comunicazione politica è ormai iper-saturo, chiunque comunica, c’è un pubblico fisso e un’offerta infinita. Per “bucare lo schermo” della tv, di un pc o di un I-pad i comunicatori politici ricorrono ad espressioni emotive e abbondano quelle logiche-argomentative.

Succede anche a parti inverse. Saviano ha invitato i suoi follower a denunciare Morisi. Non è forse questa l’altra faccia della stessa medaglia?

Assolutamente sì, è una reazione che aumenta l’escalation invece di facilitare una flessione. Il continuo botta e risposta fra Salvini e Saviano è un caso di scuola. Ogni volta che un personaggio pubblico con quei numeri sui social si esprime con toni accesi, ci sono conseguenze immediate.

La tensione in politica non è certo cosa nuova. Cos’è cambiato con i social network?

I social sono amplificatori. L’individuo è per natura “gruppista”, per ragioni di comfort sceglie di appartenere a un gruppo e lo difende a spada tratta. I social non hanno inventato questa natura ma l’hanno senz’altro accentuata. Creano una bolla intorno all’utente che di conseguenza vuole vedere e interagire sempre con le stesse persone e gli stessi concetti. Così facendo, il “diverso” diventa l’intruso, un’anomalia da eliminare.

Ci può fare un esempio?

Ci sono autorevoli ricerche scientifiche sull’eterno scontro fra pro-vax e no-vax che dimostrano come in fondo l’atteggiamento sui social dei due gruppi è identico. Prendiamo il caso del “burionismo”. Roberto Burioni ha anni di studi e la competenza dalla sua, e comprendo perfettamente che provi a far ragionare chi non la pensa come lui. Con il tempo, però, anche lui ha capito che, a prescindere dalle argomentazioni usate, l’80-90% del pubblico cui si rivolge non è disposto a cambiare idea.

Così dalle argomentazioni si passa in fretta al “blast”, alla presa in giro. Tattica cui ha fatto ricorso di recente la social media manager di Inps per la Famiglia…

In quel caso però rappresenti un’istituzione. L’errore a monte è aver permesso di gestire via social il delirio del reddito di cittadinanza, un’impresa impossibile. Migliaia degli utenti che interagiscono con quella pagina neanche esistono, sono troll o avatar. In ambito istituzionale non si può affidare ai social un compito così gravoso. Se quando ero al comune di Roma avessi dato ascolto a un utente che chiedeva di inviare un camion per tappare una buca postata su facebook e quella buca non ci fosse stata, avrei creato un danno erariale.

Tornando al duo Salvini-Morisi. È davvero responsabilità del politico invitare a calmare le acque e smorzare i toni violenti e irrazionali dei suoi fan? Si può davvero controllare l’escalation sui social network?

Faccio una premessa. A livello comunicativo, da un punto di vista tattico, Salvini è impeccabile. Riesce a cavalcare come nessun altro quelle che io chiamo le “tre i”: istinti, istanti e immaginario. Sul medio periodo questa strategia può avere delle falle. Nella nostra società le leadership politiche durano poco, perché il pubblico ha continuamente bisogno di nuovi stimoli. Se corri troppo, il collasso sarà più rovinoso. Ogni tanto dissociarsi e tirare il freno a mano è un toccasana anzitutto per il politico. Salvini lo ha fatto bene con il manifesto per l’8 marzo della Lega di Crotone. Quando un leader sa fermarsi e cambiare direzione, il pubblico lo apprezza ancora di più.

politico

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