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I migranti che partono dalle coste della Libia prendono il mare con barconi e gommoni messi a disposizione dai trafficanti. Raramente hanno come meta il territorio italiano. Di norma l’obiettivo è quello di essere recuperati da mezzi di soccorso e di venir sbarcati in Italia o in altro Paese europeo. In tal senso, il soccorso in mare dei migranti può integrare solo un’operazione di salvataggio ovvero può essere anche funzionale alla migrazione dalla Libia in Europa. Tale evidenza porta a considerare in primo luogo il ruolo della marina libica nelle proprie acque territoriali, finalizzato a un pattugliamento di contrasto ai trafficanti e di supporto per il rischio di naufragi; e quello delle navi in acque internazionali, la cui presenza, se da un lato può essere utile al soccorso in mare, dall’altro può divenire un incentivo all’esodo dalla Libia, con aumento del rischio di naufragi.

In secondo luogo, all’esito del soccorso in mare dei migranti, la questione centrale e quella della loro gestione e tutela, nel rispetto delle regole internazionali. Il diritto internazionale obbliga a prestare assistenza in mare a chiunque sia in pericolo di vita, fornendo le prime cure e trasferendo le persone al più presto in un “luogo sicuro” (inteso come una località dove le operazioni di soccorso siano concluse, la sicurezza delle persone non sia più minacciata, le necessità umane primarie siano soddisfatte, il trasporto nella destinazione vicina o finale sia possibile). Le linee guida internazionali specificano che va evitato lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare, in territori nei quali la vita o la libertà sarebbero minacciate. I Trattati prevedono altresì che nel mediterraneo gli Stati costieri siano tenuti a mantenere un servizio di ricerca e soccorso in mare (denominato Sar, da “Search And Rescue”), chiamato a coordinare le attività di salvataggio, sulla base di aree di competenza (nel tratto di mare tra la Libia e l’Italia, da sud a nord, il coordinamento Sar spetta prima alla Libia, poi a Malta e all’Italia).

In tale quadro, il comandante di una nave che soccorre persone in mare, deve informare il centro Sar competente o altro Sar che si renda disponibile, seguendo le indicazioni che vengono date, anche ai fini dell’individuazione di dove portare le persone salvate. Se il centro Sar di riferimento dà indicazioni di trasferire le persone soccorse in un luogo che non può essere considerato sicuro, il comandante della nave può rifiutarsi di rispettare l’ordine: così per la Libia di oggi, che non può ancora essere considerata un luogo sicuro, perché non ha ratificato la convenzione di Ginevra sui rifugiati, né ha un ordinamento interno a protezione dei rifugiati. Diversamente, se l’indicazione è quella di un luogo sicuro, il comandante deve portare le persone soccorse in quel luogo. E a nord della Libia si trova la Tunisia, che può avere i requisiti di luogo sicuro, nonostante i dubbi che talvolta vengono sollevati.

In effetti, in Tunisia è ancora assente un formale sistema di asilo a tutela dei rifugiati. Ma l’articolo 26 della Costituzione tunisina tutela il diritto d’asilo e vieta di estradare le persone che beneficiano dell’asilo; e l’Agenzia delle Nazioni Unite Unhcr è presente sul territorio e si interessa, tra l’altro, anche della gestione dei richiedenti asilo. E la stessa Unhcr, tramite il suo portavoce, in occasione della vicenda della nave Sarost 5, ha chiarito che la Tunisia può essere considerata un luogo sicuro per lo sbarco e che non ci si può trovare in una situazione in cui la possibilità di asilo venga accantonata perché si cercano offerte migliori in altri Paesi. Vi sono tuttavia opinioni secondo le quali la Tunisia non potrebbe essere considerata un luogo sicuro, perché coloro che ottengono lo status di asilo come rifugiati o la protezione internazionale Unhcr, non hanno diritto a un permesso di soggiorno e potrebbero essere trasferiti in altri Paesi, dove potrebbero essere esposti a rischi umanitari.
Dal quadro esposto, appare corretto rilevare che:

– è possibile impegnarsi nel salvataggio delle vite in mare, senza porsi al servizio dell’immigrazione di massa e irregolare in Europa e senza strumentalizzare la regolamentazione del soccorso in mare a fini migratori;
– l’azione dei mezzi della marina libica va adeguatamente sostenuta da parte dell’Italia e dell’Europa, in quanto svolge un importante ruolo contro i trafficanti e il rischio di naufragi;

– i mezzi navali in acque extraterritoriali al largo della Libia, in particolare delle Ong, possono rappresentare un fattore di incentivazione delle partenze via mare e quindi di maggior rischio per la vita dei migranti; e sono chiamati, dopo il soccorso in mare, a dare applicazione alle indicazioni che pervengono dalle Sar, evitando rotte o porti che non siano funzionali alla salvaguardia della vita delle persone o alla loro protezione internazionale, bensì a una scelta di migrazione;

– laddove le navi di soccorso in acque internazionali siano gestite in difformità alle disposizioni Sar e alle regole di corretta individuazione del “luogo sicuro”, ovvero vi siano altre ragioni inerenti la sicurezza pubblica, può essere negato lo sbarco, prestando ogni possibile cura e assistenza alle persone, come confermato dalla decisione assunta in via provvisoria dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, respingendo il ricorso cautelare della Sea Watch; in tal caso è possibile reindirizzare la nave in altro luogo sicuro, anche in riferimento alla bandiera dell’imbarcazione, o far sbarcare i migranti per trasferirli in Stati che abbiano dato disponibilità;

– la Tunisia appare configurabile come “luogo sicuro” e può sempre più diventarlo, anche a seguito di modifiche ed integrazioni operative e normative, ma l’Europa deve supportare e sollecitare tale Paese, per rendere possibile un suo fattivo inserimento nel sistema Sar e una piena conformità agli standard di accoglienza e soggiorno dei richiedenti asilo;

– Malta e tutti i Paesi europei devono assumersi le proprie responsabilità nella gestione dei flussi migratori dalla Libia, che interessano l’intera Europa e non possono ricadere sulle spalle della sola Italia;

– la realizzazione di centri di accoglienza in Africa, in posti sicuri e attrezzati, adeguatamente supportati economicamente e logisticamente dall’Europa, con la collaborazione dell’Unhcr e delle Ong, consentirebbe di creare corridoi umanitari per i rifugiati, evitando loro di prendere il mare e rischiare la vita; di contenere preventivamente parte dell’immigrazione irregolare; di gestire fuori dall’Europa i flussi migratori, migliorando grandemente il rapporto tra cittadini europei e migranti;

– il rispetto delle regole internazionali può garantire la piena tutela della vita delle persone in mare e un’adeguata protezione dei rifugiati, improntate a umanità, compassione e solidarietà, senza essere strumentalizzate a fini di immigrazione di massa e irregolare.

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