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Il dossier nordcoreano, che poco più di un anno fa era il fulcro di una imminente e devastante guerra nucleare, nel corso del tempo ha perso appeal. I negoziati per portare il satrapo Kim Jong-un a un compromesso accettabile sul suo programma atomico procedono a scatti. E di conseguenza anche le notizie collegate. Ma ora siamo in fase di scatto.

La nuova rincorsa diplomatica e mediatica è partita con l’avvicinarsi del nuovo incontro di Kim con Donald Trump, e su quest’onda il Center for Strategic and International Studies ha fatto uscire un’analisi che in un altro momento non avrebbe generato troppa attrattiva, ma adesso vale piuttosto di più. Beninteso, il think tank americano è tra i migliori al mondo, ha un’elevata rispettabilità, e quanto scrive nei suoi report è di elevato valore assoluto, però come ogni entità che deve sopravvivere alle leggi di mercato non si tira indietro alle regole: se aumenta la domanda, aumenta il valore del prodotto.

E dunque, da uno studio del Csis uscito ieri risulta che una delle venti basi militari nordcoreane predisposte per il lancio di missili balistici a medio raggio (quelli che potrebbero colpire la Corea del Sud, il Giappone o il territorio americano di Guam) funge anche da quartier generale per le forze missilistiche di Pyongyang. Il report è stato redatto da tre analisti tra cui Victor Cha (accademico, esperto di affari asiatici tra i migliori al mondo, ex advisor con deleghe al dossier Nord nell’amministrazione Bush).

A novembre dello scorso anno, il Csis aveva pubblicato un altro studio un po’ più sostanziose in cui si indicavano una dozzina di basi balistiche nordcoreane “non dichiarate” (magari è una coincidenza, ma proprio in quel periodo iniziavano a circolare con insistenza i rumors sul prossimo incontro Trump-Kim, e quello uscito ieri sembra essere un sequel integrativo del precedente. Ndr). Stando al think-tank, il sito di Sino-ri è uno tra quelli “mai divulgati dalla Corea del Nord”, e per tale ragione “non pare essere soggetto ai negoziati sulla denuclearizzazione”, sebbene abbia una centralità logistica, strategica e operativa.

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Tutto questo, ovviamente, non significa che le intelligence di Stati Uniti e Corea del Sud, che sono i due paesi più impegnati nel contenimento del Nord, non fossero a conoscenza della situazione. Anzi, Washington e Seul risposero già abbastanza freddamente all’ampia copertura mediatica data al report di tre mesi fa: lo sapevamo già, niente di nuovo. E lo stesso succede adesso: il portavoce della difesa sudcoreana ha fatto sapere che sul centro di comando di Sino-ri e su tutti gli altri siti non dichiarati è in atto un monitoraggio costante.

L’enorme peso politico-propagandistico che Trump ha dato al dossier fino al giugno scorso quando incontrò Kim, prima con i venti di guerra e poi intestandosi un ruolo da statista pacificatore, si porta dietro certe conseguenze. La situazione è sostanzialmente ferma dall’incontro di Singapore, e nessuno perde l’occasione per sottolinearlo, rimarcare la lentezza reale dei negoziati e le eventuali falle – quella del caso suona così: come si può dichiarare che la Corea del Nord ha avviato la denuclearizzazione e i negoziati collegati se Pyongyang ha mentito sull’esistenza di diversi siti atomici?

(È però un problema noto anche questo all’amministrazione Trump, che cerca una “denuclearizzazione completa, verificabile e irreversibile”, ma si trova a fare i conti con le resistenze di Pyongyang che ormai ha la Bomba, e vuol essere trattato da potenza, accettando relativi piani di non proliferazione, ma mantenendo la propria dissuasione. E questo è meta-problema).

L’avvicinarsi del nuovo incontro tra Trump e Kim come riapre l’interesse sul dossier, riavvia spinte diplomatiche si diceva. Ieri il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha avuto due conversazioni telefoniche rilevanti, prima con il parigrado sudcoreano e poi con quello giapponese. Mentre in Svezia proseguono altri incontri di livello secondario che il ministro degli Esteri locali definisce “costruttivi” (sono questi faccia a faccia a creare il contesto attorno al vertice tra leader).

Contemporaneamente, si produce in automatico uno scatto nelle relazioni con cui la Cina cerca – come già fatto nei giorni precedenti all’incontro di giugno – di giocare in anticipo su Trump, col presidente Xi Jinping che una dozzina di giorni fa ha ospitato a sorpresa Kim a Pechino (la quarta volta in questi mesi in cui i negoziati sono partiti, e questo significa che i cinesi vogliono spingere per avere un ruolo centrale sul dossier).

 

trump

Il nuovo incontro fra Trump e Kim riaccende i riflettori sul dossier nordcoreano

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