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“È un guaio, ma non credo sia colpa di Erdogan“. Gli Stati Uniti, o meglio, Donald Trump, prende tempo con la Turchia sul capitolo S-400 e Trump ne approfitta per attaccare il suo predecessore, Barack Obama. Dopo il colloquio con l’omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, il capo della Casa Bianca ha dichiarato che la Mezzaluna ha ricevuto “un trattamento scorretto sulla questione Patriot”.

Trump ha quindi, in qualche modo, voluto avallare la versione di Ankara, che si è vista costretta ad acquistare il sistema missilistico russo, perché Washington ha negato per parecchio tempo la fornitura di quello nazionale.

“La Turchia voleva acquistare i Patriot, ma gli è stato impedito – ha spiegato Trump ai reporter -. Ci doveva essere un trattamento corretto e io non credo ci sia stato”.

LA POSIZIONE UFFICIALE (E QUELLA TRA LE RIGHE) DEGLI USA SU S-400 E F-35 IN TURCHIA

Il presidente americano, ha poi assicurato che visiterà la Turchia, anche se una data sul tavolo non c’è ancora. Le sue dichiarazioni quindi sembrano voler concedere un po’ di ossigeno a tutti, Washington, Nato e soprattutto la Turchia, che è già stata parzialmente sbattuta fuori dal programma F-35 e che rischiava di incorrere in sanzioni che si sarebbero rivelate deleterie per la sua economia già abbastanza zoppicante. Che, però, non sono ancora state escluse in modo netto.

In realtà, l’atto di accusa nei confronti di Obama, non è corretto. L’amministrazione Obama rifiutò la fornitura di Patriot alla Turchia, ma perché Ankara chiedeva precisi trasferimenti di competenze per poter un giorno produrre i missili in maniera autonoma. Davanti al rifiuto di queste condizioni da parte di Washington, Erdogan a quel punto si è rivolto a Putin, che però, difficilmente può avergli garantito quel trasferimento di competenze a cui Ankara teneva particolarmente.

“Il problema – ha spiegato ancora Trumo ai giornalisti – è che la Turchia ha pagato una cifra molto alta sia per gli S-400 sia per il programma F-35. Ma noi non possiamo permettere che i due sistemi si incrocino, perché sono incompatibili. Si tratta di un danno, ma personalmente non credo sia colpa di Erdogan. Ci stiamo lavorando, è un affare complicato, vedremo cosa possiamo fare”.

Questo è quanto detto alla stampa. C’è poi il non detto che traspare dal comunicato ufficiale della Casa Bianca, secondo il quale Trump avrebbe espresso “preoccupazione” per le scelte fatte dalla Turchia e abbia chiesto ad Ankara di tornare a lavorare con gli Stati Uniti e la Nato, per rafforzare l’Alleanza Atlantica, di cui la Turchia, anche se fa affari con la Russia, rappresenta il secondo esercito a livello numerico.

LA TURCHIA COME RISPONDE?

Nulla di fatto, quindi, solo tempo guadagnato per il presidente turco, che subito dopo Trump ha incontrato Putin, e che ai reporter ha ribadito un concetto che da qualche anno per la Turchia è molto importante: non si compra nulla, se non si trasferiscono anche le competenze. Un messaggio chiaro sulle volontà della Turchia di potenziare la sua industria di difesa e diventare sempre più autonoma.

Il numero uno di Ankara, in realtà, sta continuando a premere sul punto che i due sistemi, di attacco americano e di difesa russo, possono convivere sul suolo turco senza paura di conflitti. Ma Washington, su questo capitolo, non ci sente e sta studiando opzioni alternative. Con poco tempo a disposizione, visto che gli S-400 verranno posizionati sul suolo turco entro la fine dell’estate.

Il tempo stringe e la soluzione da trovare non è facile. Ankara sembra sempre più determinata a tenere la barra tesa, ma Erdogan, anche per motivi di stabilità interna, non può assolutamente permettersi nuove sanzioni. E questo Trump lo sa.

Gli Usa cercano (ancora) il deal con la Turchia. La trattativa su S-400 continua

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