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Si fa presto a sfornare un report con delle previsioni catastrofiche e dire che l’economia italiana va allo sfascio. E se non fosse così? Il ministro dell’Economia Giovanni Tria più volte ha dato dimostrazione di essere un tecnico prudente, decisamente poco irruento, nel dare questo o quel giudizio. Per questo le conclusioni sulla sua quattro giorni americana (qui l’articolo di ieri) a Washington, dove ha incontrato una serie di rappresentanti del Fmi oltre che i colleghi del G20, vanno lette con attenzione.

Ci sono almeno due indicazioni importanti arrivate da New York, da dove il ministro si è collegato con In mezz’ora in più (Rai 3) prima di salire sul volo per Roma. Una prima, al netto delle dichiarazioni dei vertici del Fondo monetario davanti a un ventaglio di microfoni, l’immagine dell’Italia in quel di Washington non è poi così male. Non è il nostro Paese che arranca, semmai è il mondo intero. Perché, ha fatto notare il ministro, se è vero che l’Italia nel 2019 farà crescita zero, le grandi economie mondiali vedranno sì il proprio Pil aumentare, ma sempre ben sotto le rispettive potenzialità. Inoltre, seconda indicazione, è decisamente prematuro immaginare un riassetto del sistema fiscale mediante l’introduzione di una flat tax cara a Salvini e una riduzione delle aliquote Irpef a fronte di un aumento dell’Iva. Prima, è il pensiero del ministro, bisogna capire se nel secondo semestre ci saranno germogli di crescita. Perché, prima il Pil, poi tutto il resto.

Secondo Tria l’immagine dell’Italia all’estero “non allarma più nessuno: è cambiato il clima di questi incontri. In quelli collegiali di Italia non si è parlato, in quelli bilaterali si è parlato in parte di aggiornamento delle nostre previsioni ma sempre di temi globali. Una discussione non rituale, perché si è parlato veramente in questi incontri, ho ascoltato e sono stato ascoltato con interesse”. Insomma, l’economia dello Stivale non è una specie di ossessione per il Fondo monetario, più semplicemente un sistema a corto di fiato come molti altri. “L’Italia”, ha fatto notare Tria, “ridurrà il gap di crescita rispetto alla Germania e all’Ue. Sì, è un po’ un paradosso ma ciò significa che quello che sta accadendo non riguarda solo l’Italia. C’è un rallentamento forte della Germania”.

Un’altra riflessione del responsabile dei conti pubblici italiani ha riguardato le scelte di politica economica interna. Tria in linea di massima non è contrario all’introduzione di una tassa forfettaria, che comunque almeno in prima battutta non potrebbe mai essere al 15% come nei desiderata di Salvini. E nemmeno contro un ipotetico aumento dell’Iva. Solo che occorre attendere eventuali sviluppi di Pil.  “C’è incertezza sulla crescita del Pil nel secondo semestre dell’anno. Nelle scelte politiche, c’è la anche la possibilità di rivedere più o meno profondamente la spesa pubblica. Non è che le risorse siano così limitate ma capire dove si mettono”. Il ragionamento è semplice. Più Pil vuol dire più possibilità di evitare manovre dolorose, come l’aumento dell’Iva. Per questo occorre aspettare.

In ogni caso la flat tax “per me concettualmente va bene. Prima di diventare ministro ne ho anche scritto a favore. Ovviamente si deve mantenere quella progressività che è anche nel dettato costituzionale”. Dunque non subito un’aliquota piatta al 15%, ma magari al 20. Una sola certezza nei pensieri del ministro. Non ci sarà la patrimoniale.

Flat tax e Pil, Tria (da New York) detta la linea al governo

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