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“Per valorizzare l’informazione di qualità non c’è altra strada che quella di un patto tra gentiluomini che veda coinvolti giornalisti, editori e colossi del web, chiamati a produrre e diffondere contenuti di qualità prodotti professionalmente”. È questa la strada da percorrere per combattere da una parte le fake news e valorizzare l’informazione di qualità secondo Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma e autore del Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione (Cedam-Wolters Kluwer), giunto all’ottava edizione. Normativa sulla privacy e nuove sfide del giornalismo sono solo alcuni dei temi trattati nel testo, così come nella conversazione con Formiche.net.

È passato un anno dall’applicazione del Gdpr. Sempre più Paesi, a partire dagli Usa, guardano con favore al regolamento europeo sui dati personali. Che bilancio si può fare, a un anno dalla sua entrata in vigore?

Il Regolamento è stato approvato nel 2016 al termine di un braccio di ferro molto aspro in sede europea. Troppi gli interessi in gioco. Particolarmente rilevanti quelli dei colossi del web, che tuttavia sono stati responsabilizzati dal nuovo testo di legge europeo. Esso mira a tutelare maggiormente i singoli e le imprese nel trattamento dei dati che li riguardano. Gli Stati Uniti ci invidiano una regolamentazione così puntuale e garantista nei confronti dei diritti delle persone. Ciò significa che è stato fatto un ottimo lavoro in sede europea. Il bilancio non si può ancora fare perché moltissimi articoli del Gdpr stanno conoscendo un’attuazione graduale, rispetto alla quale è opportuno per ora sospendere il giudizio.

Quali sono le principali criticità?

Ci sono delle criticità legate ad aspetti specifici, tra i quali il ruolo del data protection officer, introdotto proprio dal Gdpr. C’è anche il nodo sanzioni, con un inasprimento opportuno, che però andrà tastato sul campo. Fra un altro anno forse saranno maturi i tempi per verificare lo stato di attuazione del nuovo Regolamento, anche in Italia, dove il decreto legislativo n.101 del 2018 si è preoccupato di rendere più agevole l’applicazione di alcune misure nuove, integrando il Testo unico della privacy, ancora in vigore nella sua versione novellata dalle nuove norme europee.

Le sfide dell’online si spostano anche sul versante dell’informazione: fake news e disinformazione sono solo due. Esistono misure giuridiche e tecnologiche di contrasto a questi fenomeni?

L’Unione europea ha prodotto l’anno scorso un codice di autoregolamentazione sulle fake news, al fine di sensibilizzare i gestori delle piattaforme web a rimuovere, su segnalazione degli utenti, le fake news e i contenuti palesemente offensivi, ad esempio a sfondo razzista. I giganti della Rete sono altresì invitati a monitorare costantemente la Rete, senza per questo diventare sceriffi del web, e quindi senza svolgere compiti (improvvidi) di censura dei contenuti. Non è escluso che in questa legislatura che si è appena aperta all’indomani delle elezioni europee del 26 maggio scorso si possa decidere di varare una regolamentazione più stringente in materia, attraverso l’adozione di un regolamento o di una direttiva. Certo è che i rimedi giuridici devono andare di pari passo con quelli tecnologici. I colossi del web devono predisporre filtri in grado di rimuovere quasi automaticamente insulti e contenuti d’odio o notizie palesemente false. È evidente che ciò pone un problema di neutralità delle piattaforme e di attribuzione ad esse di un compito di selezione per così dire “editoriale” sul quale il diritto continua a interrogarsi. Il confine tra ruoli editoriali e ruoli esclusivamente “meccanici” e tecnologici continua ad essere molto labile e la definizione di quel confine avviene sul delicato terreno del bilanciamento tra libertà e responsabilità.

La disinformazione si combatte anche con una informazione di più alta qualità, eppure le fake news arrivano anche sui giornali tradizionali. Come si può rompere questo circolo vizioso?

Per valorizzare l’informazione di qualità non c’è altra strada che quella di un patto tra gentiluomini che veda coinvolti giornalisti, editori e colossi del web, chiamati a produrre e diffondere contenuti di qualità prodotti professionalmente. Produttori e distributori di contenuti informativi devono collaborare per rendere riconoscibili in Rete le notizie di qualità e per smascherare le fake news più marchiane, che arrivano anche sui giornali tradizionali. Su questi ultimi c’è altresì un problema di neutralità degli editori, che spesso è inesistente. Il problema della mancanza di editori puri nel nostro Paese non è tema di oggi. Esso ha posto le radici di un’informazione spesso pilotata e politicizzata che nel tempo ha perso credibilità. Bisogna rompere questo circolo vizioso tra manipolazioni politiche dell’informazione e perdita di credibilità della stessa.

Quali sono le prossime sfide sul tema dell’informazione da una parte e tutela degli individui dall’altra, in un mondo sempre più iperconnesso?

Le sfide sono molteplici. Provo a riassumerle per punti, fermo restando che ciascuna di esse meriterebbe un approfondimento specifico. Anzitutto la sfida della deontologia giornalistica. I giornalisti devono dimostrare di essere diversi dagli altri ed essere orgogliosi della loro deontologia professionale. Vantarsi di rispettare principi che loro stessi si sono dati negli anni per rendere più credibile il loro lavoro. La gente deve tornare a fidarsi di loro. Lo farà se torneranno ad essere meno faziosi e meno superficiali e se acquisteranno le nuove competenze che il digitale richiede loro, ad esempio capacità organizzative e gestionali rispetto a flussi costanti e infiniti di informazioni che arrivano da una miriade di fonti e che vanno vagliate e verificate. In secondo luogo la sfida della formazione. I nuovi giornalisti devono avere una robusta preparazione di base e una solida competenza nelle materie delle quali si occupano. Ma tutto questo non basterà se non ci saranno politiche nuove in ambito editoriale e modelli di business editoriale innovativi. Rendere remunerativo il lavoro giornalistico non è semplice ma è un’altra delle sfide decisive per salvare la filiera di produzione e distribuzione delle notizie.

Lei ha di recente dato alle stampe l’ottava edizione del suo Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, che da circa 20 anni indirizza lo studio, l’aggiornamento e l’attività professionale di migliaia di giornalisti, avvocati, magistrati, addetti ai lavori. Perché è importante conoscere il diritto dell’informazione?

Nel complesso ecosistema digitale è indispensabile conoscere i rischi e le opportunità della Rete e apprendere le tutele che si possono attivare. Il diritto dell’informazione è un insieme di normative, di sentenze e decisioni, di codici deontologici e di saperi dottrinali che consentono a individui e imprese di vivere la realtà digitale in modo consapevole e costruttivo. Il mio Manuale vuole sottolineare l’importanza delle regole e fare in modo che tutti le applichino, proprio per migliorare la qualità della vita nel web.

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