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Farebbe proprio un gran bene alla classe dirigente (o quel che ne resta) di questa nostra meravigliosa nazione imparare una volta per tutte a ritrovarsi in luoghi comuni d’incontro e discussione (Dagospia direbbe “attovagliarsi”).

Già perché è tempo di finirla con questa ipocrisia collettiva secondo la quale si può governare un sistema complesso senza conoscersi, parlarsi, frequentarsi.

Per questo dico mille volte brava ad Annalisa Chirico, che con ostentata impudenza ha messo su la cena di martedì sera, di cui tutta Roma parla da due giorni. (QUI LE FOTO DI UMBERTO PIZZI)

E dico anche che hanno fatto bene ad intervenire tutti quelli che sono arrivati e in particolare quelli che sono saliti sul palco, magistrati compresi.

Hanno fatto bene perché hanno detto cose urticanti ad una platea attenta, come hanno fatto Lo Voi, Gratteri e Amato mettendo a nudo con grande franchezza alcuni dei mali atavici del nostro sistema giudiziario (con accuse durissime all’inerzia legislativa da parte del Procuratore di Catanzaro).

Ed hanno fatto bene anche perché i pezzi del sistema, magistratura compresa, vivono dentro la società italiana e dentro il suo establishment, la cui esistenza può essere negata solo cedendo ogni indipendenza intellettuale al “mantra” del tutti contro tutti, della vita (politica ed istituzionale) esercitata via social network.

Quindi dico bravi ai ministri della Lega (Salvini, Bongiorno e Fontana) che erano seduti al tavolo d’onore.

Cosi come dico bravi ai quei parlamentari d’opposizione che si sono presentati (Boschi, Mulè, Ruggeri, Bonifazi), capaci di non farsi intimidire da una retorica “anti-inciucio” che ha la consistenza di un ghiacciolo esposto al sole d’agosto.

E dico anche che hanno fatto benissimo ad intervenire tutti gli altri “pezzi” del sistema presenti in sala, anche quando in evidente conflitto con alcuni degli invitati.

Quindi bravo a Malagò, che certo non sprizza gioia da tutti i pori per la riforma del Coni voluta dal governo, brava alla Severino (ministro della Giustizia del governo Monti, cui Salvini dedica da anni parole di fuoco), bravo Cairo, che essendo l’editore del primo giornale d’Italia si sforza di “annusare” quel che succede in giro.

Smettiamola di raccontarci favole bugiarde e miserabili. Per fare una legge bisogna parlarsi: tra governo, Parlamento, burocrazie varie. Per fare un affare bisogna parlarsi: tra imprenditori, manager, banche. Lo stesso vale per chi vuole fondare un partito o un giornale: non c’è attività umana complessa in grado di prescindere da un sistema di relazioni.

Quanto più alta è la posta in gioco e tanto di raffinata diventa la partita, come dimostra la girandola vorticosa d’incontri conviviali che ogni giorno dell’anno viene messa in scena a Washington, Shanghai o Bruxelles.

Quindi brava Chirico, nuova “ape regina” di Roma, città ormai (purtroppo) senza salotti d’autore.

Un giorno (forse) lo capiranno anche nel Movimento a Cinque Stelle: non si governa una nazione con le sole dirette Facebook in viaggio verso Strasburgo.

Più Chirico per tutti

Farebbe proprio un gran bene alla classe dirigente (o quel che ne resta) di questa nostra meravigliosa nazione imparare una volta per tutte a ritrovarsi in luoghi comuni d’incontro e discussione (Dagospia direbbe “attovagliarsi”). Già perché è tempo di finirla con questa ipocrisia collettiva secondo la quale si può governare un sistema complesso senza conoscersi, parlarsi, frequentarsi. Per questo dico…

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