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In fondo non c’è nulla di questo 2018 che non fosse previsto e, per certi aspetti annunciato, fin dal 2017. Riflettiamo: c’era forse qualcuno disposto a scommettere che il M5S non avrebbe raggiunto il gradimento più alto degli italiani al voto? E avete visto l’anno scorso qualche bookmaker andare in giro a prendere scommesse sul futuro elettorale magnifico e progressivo del Pd o di Fi? Certo, si poteva opinare (ma neanche troppo) sul fatto che Salvini avrebbe fatto cappotto sul Berlusca, ma, in fondo il destino del sodalizio gialloverde era ineluttabile, a meno di non tornare al voto in un lampo.

Dunque il 2018 stava già nel 2017 e non ha fatto salti: erano già defunti i partiti della seconda Repubblica e da un bel po’ il disincanto, come dicono gli spagnoli, aveva preso alla gola fasce sempre più larghe di popolo. Il 2018 ci ha scodellato, questo sì, qualche inedito protagonista: chi conosceva, fuori dalla cerchia dei suoi colleghi ordinari di diritto civile, il prof. Conte e, oltre l’horto concluso degli economisti, il prof. Tria? Ma, a parte la curiosità da gossip su fidanzate, mogli e hobby dei nuovi inquilini dei Palazzi (gli altri, per la verità, facevano di tutto sui social media per farsi conoscere), bisognerà dire che il contenuto politico delle performance governative tra gaffe, dichiarazionismo audace, digrignamento di denti, anatemi, promesse irrevocabili e poi revocate, dilettantismi prêt-à-porter, e dobloni che mancano all’appello del bilancio, era largamente prevedibile.

Insomma: il nuovo avanzato è stato esattamente il nuovo aspettato. Qualche volta addirittura oltre l’atteso: nessun governo nelle 18 legislature della Repubblica ha mai messo mano a tre fiducie di seguito per approvare la legge di Bilancio. Ma anche qui si sa: più si va avanti più il record si migliora! Che è accaduto, allora, di impreveduto in questo 2018? L’opposizione. Attenzione: all’obsolescenza dell’opposizione parlamentare, caduta in una specie di maleficio ipnotico che – salvo gli ultimi coreografici fuochi di fine anno – l’ha irretita in un cono d’ombra, ha fatto da contrappasso la piazza. Sì, la piazza delle donne di Torino e di Roma, degli imprenditori del nord, di brandelli di ceto medio che sembra prendere coscienza di sé e della sua distruzione. Non avviene solo in Italia, certo, ma, almeno questa volta, in Italia ha preso forme civilissime e politically correct. Che significa? In sé appare come un segno di vitalità da incoraggiare. Ma, a ben vedere, somiglia troppo al rovesciamento del teorema che oggi è al governo e che poggia sull’idea pop della disintermediazione, seppure rivisitato dalle piazze in uno schema acefalo: il popolo e il vertice, recita il mantra gialloverde, e in mezzo niente. Per il momento si rivede il popolo. Ed è già qualcosa.

Pensierino per la Befana: e se provassimo a rifare i partiti, quelli normali, con i dibattiti, i congressi, i candidati che devono prendersi i voti, insomma quelle cose che non usano più da un bel po’? Buon anno.

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