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Payback, non è finita. Nel giorno in cui in Senato, presso l’aula dei convegni, hanno preso il via le audizioni (giovedì è in programma l’intervento del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti) sulla quarta manovra firmata dallo stesso Giorgetti e Giorgia Meloni, le imprese che producono e forniscono le Regioni di dispositivi medici. La trama è nota. Dal 2015, se la spesa delle regioni per l’acquisto di dispositivi medici supera il tetto fissato dal governo in legge di bilancio, le aziende devono rimborsare la metà dello sforamento. Una misura analoga esiste per i farmaci dal 2008.

Il meccanismo mira a spingere le imprese a moderare i prezzi, rendendole corresponsabili dell’efficienza della spesa. Per il triennio in questione il calcolo corrispondeva a circa due miliardi di euro, che nel 2023 il governo Meloni aveva già dimezzato. La scorsa estate il governo è intervenuto, con una soluzione ponte, non propriamente strutturale. Le imprese che forniscono dispositivi medici hanno potuto transare, versando un quarto dell’importo originale (circa cinquecento milioni di euro invece di due miliardi) con accesso favorito ai prestiti per quelle rimaste senza liquidità. Dunque, per chiudere il contenzioso con le Regioni ed estinguere i loro debiti, le imprese hanno pagato solo il 25% degli importi inizialmente richiesti (per il periodo 2015-2018).

Va bene, ma per il triennio successivo. Proprio su questo punto si è focalizzato il presidente di Confindustria dispositivi medici, Fabio Faltoni, nel corso del suo intervento a Palazzo Madama. “Resta aperta la questione del payback, in cui un primo importante passo è stato compiuto con la chiusura del quadriennio 2015-18, a seguito del quale, però, la filiera dei dispositivi medici ha bisogno di mettere la parola fine a questo meccanismo folle che si autoalimenta di anno in anno”, ha premesso Faltoni.

“Le nostre imprese hanno mostrato forte senso di responsabilità e una piena credibilità nella procedura di accettazione e pagamento del 25% della quota relativa al primo quadriennio di sforamenti, che è stato avviato da oltre il 90% delle aziende piccole, medie e grandi rappresentate da Confindustria dispositivi medici. Un contributo non banale di oltre 500 milioni di euro, che ha significato per gran parte delle aziende, in particolare pmi, doversi rivolgere agli istituti bancari per richiedere ulteriori linee di credito, non sempre supportate dalla garanzia dello Stato per difficoltà amministrative e tempi ristretti, nonché mettere a rischio la solvibilità dei propri bilanci e la disponibilità di risorse per pagare le spese correnti (stipendi, bollette, assicurazioni)”.

Dunque, “è bene chiarire di nuovo in questa sede che si è trattato di uno sforzo molto rilevante, che non è ripetibile né nuovamente sostenibile. Chiediamo quindi che questa Legge di Bilancio sia l’occasione per mostrare al settore un altro segnale di forte volontà politica rendendo permanente il tavolo sul payback avviato dal ministero dell’Economia lo scorso marzo. Ci aspettiamo inoltre che venga tempestivamente ripreso il dialogo franco e positivo tra industria, governo e regioni con l’obiettivo di lavorare insieme ad una strategia che porti all’eliminazione del payback e ad un’adeguata revisione della governance dei dispositivi medici, che riesca a re-indirizzare le scelte di programmazione e acquisto verso livelli crescenti di efficienza ed efficacia, che sia in grado di valorizzare le tecnologie, valutarne gli outcomes e invertire la consuetudine che ha fin qui portato ad un ragionamento calibrato sulla spesa per prestazione, per passare ad approccio che valuti il costo complessivo della gestione del paziente”.

Insomma, sul payback urge la parola fine. Lo stesso Faltoni ha ricordato in proposito come la Consulta “ha stabilito che la legittimità del payback sui dispositivi medici, inteso come contributo di solidarietà, è giustificata solo per un periodo limitato di tempo (cioè il quadriennio 2015-2018) e in presenza di condizioni straordinarie di difficoltà di approvvigionamento di dispositivi da parte delle regioni. Ha sostenuto inoltre che devono essere rispettati il principio di proporzionalità e temporaneità. Secondo la giurisprudenza costante, infine, le limitazioni alla libertà d’impresa per fini sociali non possono essere tali da restringere eccessivamente le scelte organizzative delle aziende, cosa che è avvenuta e sta avvenendo tutt’oggi a causa della vigenza del meccanismo che obbliga le imprese a tagli e immobilizzazioni di risorse fondamentali per lo sviluppo delle imprese”.

Anche le imprese farmaceutiche hanno sottolineato la necessità di mandare una volta per tutte in naftalina il payback. Il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani chiarito come la riforma fondamentale sia il “superamento dell’onere del payback sulla spesa farmaceutica ospedaliera a carico delle aziende. Per proteggere i nostri primati industriali ed essere ancora competitivi, è fondamentale fare ulteriori passi in avanti. Non possiamo aspettare la legge di Bilancio del prossimo anno: serve subito una ulteriore riduzione del payback sugli acquisti diretti”.

Sul payback è tempo di scrivere la parola fine. L'appello delle imprese

Al via la girandola di audizioni sulla manovra. Per le industrie dei dispositivi medicali è arrivato il momento di superare il meccanismo che impone il rimborso del deficit. Perché la soluzione approvata la scorsa estate dal governo non ha risolto il problema

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