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Fermarsi in tempo, anche se sul più bello. Il messaggio che l’ex ceo di Google, Eric Schmidt, ha lanciato dal programma This Week in onda su Abc News è tanto chiaro quanto preoccupante. Il fatto che l’intelligenza artificiale abbia compiuto dei passi da gigante in pochissimo tempo è sicuramente un fattore positivo, ma da cui mettersi in guardia. “Presto saremo in grado di avere computer che funzionano da soli, decidendo cosa fare. In teoria, sarebbe meglio avere qualcuno che tenga la spina in mano”. Le sue parole ricalcano un pensiero piuttosto comune: il progresso è sempre ben accetto, purché si è in grado di governarlo.

“Il potere di questa intelligenza significa che ogni singola persona avrà in tasca l’equivalente di un genio universale”, ha aggiunto. “Non sappiamo proprio cosa significhi dare questo genere di potere a ogni individuo”. Chiunque potrebbe farne l’uso che preferisce, in base al ruolo che ricopre e alle risorse di cui dispone.

Schmidt non è nuovo a questo tipo di avvertenze. Già l’anno scorso aveva preannunciato che le macchine saranno in grado di prendere decisioni nel giro di due o quattro anni, una tesi supportata anche da altri esperti del settore, convinti che già dal prossimo anno un computer possa ragionare con le competenze di uno studente dottorando. Per le ricerche, invece, ci potrebbe volere la metà del tempo.

Come correre ai ripari è il vero punto di domanda. “Gli umani non saranno in grado di controllare l’IA, ma i sistemi sì”, ha aggiunto Schmidt prefigurando uno scenario dove le macchine limitano le macchine.

Negli Stati Uniti la questione è ancor più urgente che in Europa. Se infatti l’Ue ha intrapreso la regolamentazione top down, adottando una serie di regolamenti che dovrebbero quantomeno porre dei paletti, in America l’approccio è diverso. Per ora è basato sulle sentenze dei tribunali e sull’ordine esecutivo firmato da Joe Biden, che però Donald Trump dovrebbe cancellare quando entrerà alla Casa Bianca – o comunque ci dovrebbe rimettere le mani, aiutato da Elon Musk. Anche il Congresso tuttavia spinge per arrivare a una legislazione chiara.

La preoccupazione di Schmidt arriva soprattutto da Est. La Cina, ha sottolineato nell’intervista, ha recuperato terreno sugli Stati Uniti “in modo straordinario”. Questo nonostante i tentativi di Washington di limitare l’export del suo know-how, impedendo al rivale di avvantaggiarsi. Tuttavia, l’abilità dei cinesi sta nel reperire sottotraccia quegli strumenti altrove. È dunque “fondamentale che l’America vinca questa gara [sull’IA], a livello mondiale, e in particolare prima della Cina”.

Proprio negli ultimi giorni si è verificato un attacco hacker da parte del cinese Salt Typhoon alle telecomunicazioni statunitensi, il primo pubblicamente confermato. Tanto che la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency e l’Fbi hanno dovuto emanare delle linee guida per il settore. Finora, su altri casi simili Washington ha aperto delle indagini e ha provveduto a emanare sanzioni, ma ora è tempo di cambiare approccio. Secondo il vicepresidente senior del Center for Strategic and International Studies, James Lewis, bisognerebbe arrivare a una strategia bipartisan affinché americani e cinesi si parlino come succedeva con i sovietici ai tempi della Guerra Fredda e, nel caso non dovesse bastare, passare ad azioni pratiche.

Pronti a staccare la spina. Perché Eric Schmidt teme il progresso dell'IA (e la Cina)

L’ex ceo di Google ha rilasciato all’Abc News un’intervista in cui evidenzia che la tecnologia ha fatto passi da gigante, ma un giorno potrebbero essere autonome, rappresentando un problema per l’essere umano. La questione si inserisce anche nell’attuale crisi geopolitica tra le due superpotenze, con Pechino che non deve vincere la partita

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