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I conflitti recenti, dall’Ucraina al Medio Oriente, hanno ampiamente dimostrato la centralità che la difesa aerea ricopre nell’odierno contesto strategico. L’avvento massiccio dei droni — specialmente quelli aerei — è andato ad aggiungere quantità e qualità a una già nutrita pletora di minacce dall’alto. La difesa aerea tradizionale, basata su pochi sistemi altamente sofisticati per la difesa di aree specifiche, non basta più. Se neanche la difesa aerea stratificata di Israele — tra le più efficienti al mondo — è riuscita a intercettare la totalità dei vettori offensivi lanciati dall’Iran e dai suoi proxy in un’area relativamente limitata, i danni subiti dalle infrastrutture civili e militari ucraine in questi anni di conflitto bastano a restituire tutte le difficoltà di difendere un territorio esteso. Non è un caso che la difesa aerea sia schizzata in cima ai capitoli di investimento del cosiddetto riarmo europeo. Il continente sconta uno svantaggio numerico e capacitivo enorme: gli assetti anti-aerei sono pochi, non integrati e altamente vulnerabili agli attacchi saturanti a causa di rapporti costo-intercetto sproporzionati. Un singolo intercettore Tamir delle batterie Iron Dome israeliane può costare fino a 50mila dollari, contro le poche migliaia (se non anche meno) necessarie per produrre un razzo improvvisato o per armare un drone commerciale. 

Nell’epoca degli assetti autonomi e a pilotaggio remoto, anche dispositivi militari organicamente ridotti possono schierare un grande numero di minacce in contemporanea sui piani tattico, operativo e strategico. Tuttavia, la risposta non può essere solo un aumento della produzione degli assetti già esistenti, ma deve necessariamente passare dallo sviluppo di nuovi strumenti. 

Sul piano delle contromisure, i sistemi di guerra elettronica e le armi a energia diretta rappresentano dei game changer. I primi — già ampiamente utilizzati per disturbare le comunicazioni e i segnali nemici — possono ora essere adoperati per interdire intere aree operative, mentre le armi laser (come quelle che equipaggiano le navi Usa nel Pacifico) e a microonde rappresentano la migliore alternativa agli intercettori cinetici nella difesa ravvicinata. Benché non ancora in grado di fermare missili balistici o da crociera, le armi a energia diretta si sono dimostrate molto efficaci contro droni e razzi, soprattutto in virtù di un rapporto costo-intercetto di circa 3 dollari per colpo.

Parimenti, una difesa aerea moderna non può fare a meno di sistemi di puntamento in grado di gestire grandi masse di dati per ridurre il rischio di saturazione. In questo senso, lo sviluppo e l’applicazione di algoritmi di intelligenza artificiale — fintanto che venga assicurato il principio dello human-in-the-loop — risulta una strada obbligata. 

Infine, sul fronte delle capacità di rilevamento, una menzione a parte la meritano i radar passivi. Si tratta di una tecnologia che sfrutta le emissioni già presenti nello spettro elettromagnetico — dai segnali televisivi alle reti radio e cellulari — per tracciare bersagli aerei senza bisogno di emettere radiazioni proprie. Più fitta è la rete di sorgenti civili disponibili, più affidabile e capillare diventa la copertura. In questo senso, l’Europa rappresenta un terreno ideale, dal momento che nessun altro continente può contare su una così densa trama di infrastrutture di comunicazione. Se adeguatamente integrate nei sistemi di difesa continentali, le reti esistenti trasformerebbero il continente in una delle aree del mondo con la sorveglianza radar più estesa e resiliente, senza bisogno degli investimenti monumentali necessari per costruire gli impianti tradizionali.

Gli intercettori cinetici convenzionali continueranno a essere necessari, soprattutto contro minacce di alto livello, come i missili balistici o ipersonici. Tuttavia, è indubbio che le tecnologie dirompenti avranno un impatto crescente nei prossimi anni. Se l’Europa saprà evitare di inseguire la chimera dello sviluppo di generazioni di armamenti ormai superati, puntando invece su un salto tecnologico immediato, la più grande lacuna difensiva del continente potrebbe essere colmata rapidamente e trasformarsi in un vantaggio strategico duraturo. Le competenze tecniche non mancano in Europa, quella che al momento manca è una visione industriale continentale sistemica, integrata e realmente ambiziosa. 

Difesa aerea Ue, così le tecnologie dirompenti possono fare la differenza

La difesa aerea odierna non può più prescindere da soluzioni che affrontino il tema degli attacchi saturanti, del rapporto costo-intercetto e della protezione di ampie porzioni di territorio. Le tecnologie per colmare quello che è il maggiore gap della difesa europea attuale esistono, ma solo chi saprà vederne da lontano le potenzialità ne coglierà appieno i frutti

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