Che gli italiani, entrambi giovani e meno giovani, presentassero significative arretratezze in fatto di istruzione e formazione era ben noto da tempo. Ma dopo tanti interventi e superata la crisi dell’insegnamento ed apprendimento durante la pandemia, ci si aspettava un rapido miglioramento sotto l’impeto dell’avanzare delle competenze richieste dall’incalzante evoluzione delle tecnologie e dei bisogni sociali. Si sperava, in particolare, che gli italiani riuscissero a recuperare il ritardo accumulato e il distacco che li separa dalla maggioranza dei paesi sviluppati. Così non è avvenuto, stando ai risultati delle più recenti verifiche effettuate in ambito sia nazionale, sia internazionale.
Di recente sono emersi diversi segnali che tracciano un quadro inquietante sui livelli di istruzione e competenza raggiunti e gettano ombre sulle possibilità del Paese di mantenere i livelli di prosperità economica acquisiti. Da ultimo in ordine di tempo ne è testimonianza la pubblicazione dell’indagine dell’Ocse sulle competenze della popolazione adulta (Piaac) in età compresa tra 16 e 65 anni, una verifica che si aggiunge alla precedente (PISA) sul livello di conoscenza degli studenti delle classi di istruzione secondaria inferiore e superiore.
Il quadro che ne risulta si può condensare in alcuni tratti:
a) una continuità tra i bassi livelli di istruzione tra i giovani e quelli di competenza tra gli adulti;
b) scarsi progressi nell’ultimo decennio (2012-2023);
c) approfondimento delle disuguaglianze tra i più preparati e quelli al livello più basso, nonché disparità tra Nord e Sud; e d) una crescente discordanza tra le competenze richieste dal mondo dell’economia e quelle fornite dal sistema d’istruzione o formazione.
L’indagine intende sondare tre principali capacità degli adulti: comprendere ed elaborare sulla base di un testo; affrontare situazioni in cui la conoscenza della matematica è necessaria; e risolvere problemi per cui non vi è una soluzione preconfezionata. Pur sembrando facoltà non comuni, si tratta di abilità di cui buona parte della popolazione è in grado di dotarsi. La realtà che affiora è, invece, ben diversa in quanto nella maggioranza dei campi di valutazione gli italiani si classificano nelle basse posizioni nel confronto con gli altri 30 paesi considerati e persistentemente sotto la media dei paesi dell’Ocse. Ancor più deludente è che nel decennio considerato i miglioramenti sono molto ridotti.
Si può discutere dell’adeguatezza del test e del modo di somministrarlo, ma la sua validità è stata verificata nei diversi anni in cui è stato applicato, né la formazione culturale di base e l’esperienza degli italiani possono considerarsi così diverse da quelle di altri paesi da richiedere un diverso approccio alla valutazione. Né si può trarre sollievo dal costatare che neanche nella maggioranza dei paesi a confronto si sono fatti progressi e in qualche caso vi è stato deterioramento. In due paesi (Finlandia e Danimarca), invece, è migliorato il saper elaborare un testo e in altri otto le capacità numeriche.
Nelle tre dimensioni della valutazione la performance media degli italiani si colloca appena sopra le ultime 3 o 5 posizioni, con un livello nell’alfabetizzazione di poco superiore a quelli delle capacità numeriche e di soluzione di problemi. Sorprendentemente, in matematica la inferiore preparazione degli adulti italiani non risulta distante da quella di due paesi alla frontiera dell’innovazione scientifica, Israele e gli Stati Uniti, aspetto che sollecita a non fermarsi ai dati riassuntivi ma scendere nei dettagli per trovarne spiegazione.
Risalta in primo piano che più di un quarto degli italiani presenta un grado soltanto elementare di conoscenza della lingua, del calcolo e di analisi dei problemi e non riesce a elaborare la logica di un testo o di un problema se è più che elementare. Questa fascia si è ingrandita nell’ultimo decennio, mentre la quota dei migliori, già inferiore a quella di altri paesi, è cresciuta di poco. Quindi un paese con una ristretta elite a cui fa da contrappeso una parte molto importante di persone poco preparate.
Questi risultati possono assumersi a segno della sostanziale impronta nozionistica del sistema di istruzione e formazione, che investe poco nello sviluppare nel soggetto la capacità di elaborare su quanto appreso per estrarre l’essenza di un contesto ed immaginare soluzioni. La diffusione di questa caratteristica è segnalata anche dalla ridotta distanza che separa la performance dei migliori dai peggiori se confrontata con altri Paesi. Sembrerebbe che il sistema non stimoli ad approfondire le conoscenze, vagliare gli apprendimenti effettivi e impegnarsi a fare emergere le eccellenze, ma porti a un appiattimento delle performance su valori modesti, che il soggetto tende a trascinarsi nel corso della sua vita lavorativa.
Vari fattori pesano sui risultati. Conta l’età: i più giovani (16-24 anni) risultano più preparati di quanti sono nelle fasce superiori di età, segno questo che il soggetto si impegna poco a mantenere ed elevare la sua competenza o preparazione. Le differenze a seconda dell’età sono ridotte nel campo della matematica e si ampliano nella soluzione di problemi, mostrando una maggiore capacità dei più giovani e un declino con l’avanzare delle età. L’ambiente culturale della famiglia esercita una certa influenza sul grado di competenza, ma il divario tra chi proviene da genitori con maggiore istruzione e quelli meno istruiti non raggiunge la consistenza osservata in altri paesi.
Né si amplia ai livelli dei migliori paesi o della media Ocse, in cui la quota dei più preparati è relativamente più grande. Complessivamente i più e i meno preparati gravitano in una zona bassa e non di grande ampiezza. Il quadro non cambia in rapporto al genere: la fascia dei meno competenti accomuna sostanzialmente i due generi. Le donne, piuttosto, ottengono punteggi comparativamente migliori nell’alfabetizzazione e peggiori nelle abilità matematiche e nella soluzione di problemi. Anche tra i laureati in discipline scientifiche gli uomini conseguono risultati migliori.
L’insieme dei dati conferma che quanto maggiore è il livello d’istruzione, tanto più elevate sono le competenze e capacità. Investire nell’istruzione conduce a performance migliori, benché l’incremento non raggiunga le punte dei paesi che stanno all’apice della classifica, come la Finlandia e i paesi scandinavi. L‘associazione tra intensità dell’istruzione e delle competenze con l’occupabilità e le remunerazioni è altresì notevole, particolarmente sul terreno delle capacità matematiche.
Gli adulti (25-65 anni) con istruzione universitaria o equivalente si dimostrano i più attivi tra la popolazione in età lavorativa (90%), trovano occupazione a tempo pieno in quasi analoga percentuale e la disoccupazione tocca una minima percentuale, di fatto a indicare la piena occupazione. In generale, all’incremento degli anni di istruzione o delle competenze matematiche corrisponde per l’Italia un aumento della probabilità di trovare lavoro in misura relativamente alta in rapporto agli altri paesi, aspetto che può derivare da una penuria di risorse ad avanzata istruzione, penuria che si riscontra anche nei paesi con minori performance degli adulti.
Come si evince dall’indagine, i rendimenti del conseguire più alti livelli d’istruzione (da intendere come i titoli o certificati di studio) e quelli delle competenze, specialmente numeriche, differiscono e i rapporti tra i rispettivi livelli mutano con gli anni lavorativi. A inizio carriera i primi superano i secondi, mentre con l’avanzare degli anni le competenze più elevate (le high skills), soprattutto numeriche, sono quelle che ricevono la più alta remunerazione. Nel caso italiano questo divario è meno consistente di quelli dei paesi più avanzati. Si potrebbe, quindi, arguire che le maggiori specializzazioni sono retribuite meglio all’estero che all’interno.
La tendenza evidenziata negli anni trascorsi è di retribuire le competenze mostrate nel lavoro meglio che l’alto grado d’istruzione, come ci si attenderebbe in un contesto di evoluzione dell’economia che fa perno soprattutto sul progresso tecnologico e sulle capacità personali di applicarle. In questa tendenza le differenze di genere sono modeste, benché le retribuzioni delle donne appaiono più correlate alle qualifiche conseguite e quelle degli uomini alle competenze. La differenza può spiegarsi con la diversità dei campi di lavoro in cui operano rispettivamente.
Un tratto interessante dell’indagine tocca gli effetti che il livello di competenze esercita sulla partecipazione alla vita politica e sullo stato di salute percepito. In Italia la capacità di influire sulla politica si presenta molto bassa qual che sia il livello delle competenze, mentre si rileva un consistente divario nella percezione del proprio stato di salute e nel grado di soddisfazione dalla vita. Ai livelli più alti di competenze corrispondono condizioni più favorevoli di salute e di appagamento.
Parte del benessere individuale è collegato alla soddisfazione nel lavoro e al raggiungimento di condizioni favorevoli per esprimere le proprie capacità. La discordanza tra offerta e domanda di lavoro in termini di qualifiche, competenze e campo di lavoro contribuisce sfavorevolmente sia alla performance, sia al benessere individuale. Dall’indagine si trae che la discordanza nelle qualifiche sebbene importante non è tra le più intense (sopra il 30% degli occupati), essendo prossima alla media Ocse, ma prevalgono le sotto-qualificazioni rispetto alla media che vede una importanza maggiore delle sovra-qualificazioni. Comparativamente contenute le discrepanze di competenze (attorno al 25%), soprattutto per la sovra-competenza rispetto al compito di lavoro. La divergenza più importante (40%) sta nel campo di lavoro rispetto a quello di studio.
L’Ocse stima anche la probabilità di una sovra-qualificazione, con il risultato che per il Paese questa è insignificante nel campo della matematica e tra gli anziani, ma è rilevante nel confronto con gli anni di studio compiuti. Parimenti, è importante per i lavori con mansioni elementari, ma presenta una bassa probabilità per i contratti a termine e per il lavoro part-time, e probabilità nulla per gli occupati nelle microimprese.
La discrepanza tra domanda ed offerta comporta in quasi tutti i paesi una remunerazione del lavoro inferiore a quella per gli occupati con competenze in linea con la domanda. L’Italia, invece, rappresenta un’eccezione, perché la sovra-qualifica e la sovra-competenza si accompagnano a retribuzioni relativamente più alte, e soltanto la diversità di campo di studio rispetto alle prestazioni richieste si associa a compensi relativamente inferiori. Questo sembra il prodotto delle condizioni del mercato del lavoro e della contrattazione nazionale.
I risultati dell’indagine appaiono coerenti con i divari nella preparazione degli studenti quindicenni osservati nell’indagine Pisa, in specie nel confronto con le disparità di competenze degli adulti di età tra 19 e 25 anni. Non mettono, tuttavia, in evidenza le differenze tra Nord e Sud del Paese, né i settori di maggiore debolezza, come nella digitalizzazione. Nel valutare le discordanze di competenze con le richieste delle imprese non rilevano la stessa intensità che emerge nell’ultima indagine della Confindustria.
Quest’ultima segnala che più di due terzi delle imprese incontrano difficoltà a reperire le competenze necessarie, particolarmente nei profili tecnici. Nondimeno, l’indagine Ocse getta luce su diversi nodi su cui i governanti debbono prioritariamente intervenire e allo stesso tempo li richiama a riformare il sistema di istruzione e formazione molto più in profondità di quanto si è visto nel Pnrr. Dovrebbero trarre insegnamento dai sistemi dei Paesi scandinavi che svettano in fatto di apprendimenti e competenze.