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Per il momento è una salva di cannone, ma potrebbe presto diventare qualcosa di più. E sempre con lo stesso obiettivo, imbrigliare gli unicorni cinesi che stanno penetrando sempre più in profondità nel tessuto industriale europea. A cominciare da Byd e Catl, il tandem simbolo della grande avanzata del Dragone in Europa. Auto elettriche la prima, batterie la seconda. Per Bruxelles è tempo di guardarsi allo specchio e ammettere che se la si vuole buttare sulla leale concorrenza, con la Cina non c’è storia. I costruttori cinesi sfornano più auto e a costi minori, anche se ora le case del Dragone dovranno cominciare a scontare la fermata ai sussidi statali decisa da Pechino, poche settimane fa. Le linee produttive europee, comunque, non stanno ancora lontanamente al passo di quelle cinesi.

Se poi ci si mettono anche i dogmi del Green deal, a cominciare dalla scadenza del 2035, data entro la quale Bruxelles vorrebbe far sparire dal mercato benzina e diesel (lo stesso Alfredo Altavilla, manager ex Fca ora in forza proprio a Byd ha parlato di industria europea dell’auto vicina a punto di non ritorno), ecco che allora non c’è un minuto da perdere. Di qui la sterzata di Bruxelles che starebbe valutando di fissare quote di made in Europe fino al 70% per alcune manifatture, a cominciare proprio dalle automobili. Con l’obiettivo di ridurre in primis la dipendenza dalla Cina.

Un gioco che avrà il suo prezzo e che potrebbe costare alle aziende dell’Ue più di 10 miliardi all’anno spingendole, per esempio, ad acquistare componenti europei più costosi (come le batterie). Il commissario Ue Stéphane Séjourné sta supervisionando la proposta, per il momento solo sulla carta, ma che segna una chiara risposta al collaterale piano cinese Made in China 2025, che hanno spinto le società straniere verso joint venture con le imprese cinesi al fine di accedere al suo mercato. Ambienti vicini al dossier hanno affermato che le quote di prodotti europei da utilizzare in sostituzione a quelli cinesi verranno decise in base alle criticità dei singoli settori industriali.

Basterà a fermare il Dragone e le sue aziende? Difficile dirlo, di sicuro la mossa potrebbe intersecarsi con l’interruzione dei sussidi cinesi per la propria industria dei veicoli elettrici, dopo anni di massiccio sostegno governativo e conseguente sovrapproduzione. Tutto nero su bianco nel piano di quinquennale 2026-2030, appena approvato dal partito e sopra di road map per l’economia che verrà. Pechino ha deciso insomma di escludere i veicoli elettrici dall’elenco delle industrie strategiche che beneficiano di finanziamenti statali. Secondo gli analisti, questa mossa dimostra che Pechino considera il settore maturo e non più bisognoso dello stesso livello di sostegno, lasciando il suo sviluppo alle forze di mercato.

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