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Lo Stato dentro Alitalia, ne vale la pena? Correva l’anno 1996 quando il Tesoro, fino ad allora azionista al 100% della compagnia, decise di avviare il processo di uscita dal capitale, dando vita alla privatizzazione di Alitalia, conclusasi 12 anni dopo, nel 2008 nel nome dei capitani coraggiosi chiamati a raccolta da Silvio Berlusconi. Ventidue anni dopo la mano pubblica si ritrova di nuovo a pochi centimetri dal vettore.

Un anno e mezzo fa, dopo l’addio dell’allora socio al 49% Etihad, per la compagnia si sono aperte le porte del fallimento in continuità, con l’entrata in gioco dei tre commissari, Luigi Gubitosi (sostituito pochi giorni fa da Daniele Discepolo dopo la chiamata di Gubitosi in Tim), Enrico Laghi e Stefano Paleari. Ora, dopo un anno e mezzo di gestione straordinaria,  è tempo di mettere di nuovo mano all’azionariato. E il governo gialloverde ha un piano: riprendersi la cloche di Alitalia, con l’ingresso in forze di Ferrovie (qui un recente approfondimento di Formiche.net), affiancata da un socio industriale di peso: Delta o easyJet non ha importanza (Lufthansa si è tirata indietro), lo schema è grosso modo quello del 2014 con l’ingresso di Etihad, un socio di controllo e una robusta spalla.

LO STATO? NON HA FUNZIONATO

Un piano che però nasconde delle insidie, almeno secondo l’Osservatorio sui conti pubblici coordinato dall’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli. Il quale ha pubblicato questa mattina un rapporto in cui mette in guardia dai possibili rischi dell’operazione con Ferrovie. La storia, tanto per cominciare, non aiuta. “Alitalia nella sua storia ha ricevuto ampio sostegno economico dallo Stato da cui, in alcune occasioni, è direttamente dipeso il mantenimento in vita della società. Tuttavia, agli interventi pubblici nella compagnia non sembra essere mai seguito un miglioramento strutturale della capacità della stessa di competere nel mercato. In questa nota ci occuperemo principalmente di capire quanto denaro pubblico sia stato speso per Alitalia e quale debba essere il ruolo dello Stato nel futuro della compagnia”, si legge nel rapporto. Parole alle quali fanno seguito i numeri, resi noti dallo stesso Osservatorio di Cottarelli.

IL COSTO DI ALITALIA

C’è una cifra che più di tutte deve far riflettere. Dalla metà degli anni 70 ad oggi Alitalia è costata ai contribuenti italiani oltre 10 miliardi di euro. “Gli oneri lordi sopportati dallo Stato tra il 1974 e il 2017 sono pari a 10,6 miliardi di euro”. E il grosso del passivo, nemmeno a dirlo, è riconducibile a interventi statali. “Di questi, il 48 per cento è dovuto ai 16 aumenti di capitale a cui ha partecipato lo Stato. Il resto è dovuto a contributi per la cassa integrazione (18 per cento), prestiti ponte (12 per cento), spese per ripiano del passivo dell’amministrazione straordinaria del 2008 (12 per cento)”. Non è finita qui. Dei quasi 11 miliardi bruciati negli ultimi decenni, la metà è ascrivibile al periodo 2008-2017: “dei 10,6 miliardi di oneri lordi, quasi la metà (il 48 per cento) sono stati spesi negli ultimi dieci anni, cioè dopo la privatizzazione del 2008”. A monte di tutto questo ci sono anni di bilanci chiusi in rosso, visto che le perdite cumulate erano pari a 1,3 miliardi di euro  già nel 1995, a 4,8 miliardi nel 2005 e 8,6 miliardi nel 2015 mentre le perdite cumulate nel 2016 ammontano a 9 miliardi.

IL NODO DEL RISANAMENTO 

Il rapporto però dà atto del lavoro svolto dai commissari in questi diciotto mesi. I numeri, non è un mistero, sono in ripresa. I ricavi da passeggeri sono aumentati del 7%, toccando quota 2 miliardi di euro, valore che non si vedeva da anni. Su anche le ore volate (+9%) mentre è stato dato un robusto taglio ai costi dei dirigenti. Il tutto portato a un fatturato di 2,3 miliardi, con una previsione di 3 nei prossimi mesi. Ora, tutto questo è sufficiente? “La gestione commissariale sembra aver per il momento ridotto le perdite. È tuttavia prematuro dire in che misura questo sia un cambiamento strutturale. Ma i casi sono due: se la compagnia è stata risanata non si capisce perché un passaggio in mano pubblica sia giustificato. Se la compagnia non è stata risanata, non si vede perché la gestione pubblica possa portare alcun beneficio. Da un lato si rischierebbe di generare nuovi interessi politici intorno all’andamento della compagnia e mettere altri soldi pubblici a rischio per nuovi interventi sulla stessa in futuro”.

STATO IN ALITALIA, NO GRAZIE

Di qui l’invito al governo a non procedere con l’attuale piano di ri-statalizzazione della compagnia. “L’attuale ministro dello Sviluppo Economico (Luigi Di Maio, ndr) ha espresso la volontà di agevolare l’ingresso di Ferrovie dello Stato nella futura compagine azionaria, invitare alla partecipazione della società alcune partecipate dello Stato (non è stato specificato a quali si riferisse) e convertire una parte dell’ultimo prestito ponte in azioni che resterebbero in capo al ministero dell’Economia e far intervenire Cassa Depositi e Prestiti per finanziare l’acquisto e il leasing di aerei per il lungo raggio”. Secondo l’Osservatorio “è auspicabile che non si operi in questa direzione. Non si vede infatti nessun motivo per cui lo Stato debba partecipare nel capitale di una compagnia di linea quando, nei principali paesi, questo non avviene. Un documento dell’Icao (l’organizzazione internazionale dell’aviazione civile delle Nazioni Unite) mostra che il settore pubblico partecipa solo in alcune delle cosiddette compagnie di bandiera:  lo Stato non ha nessun vantaggio comparato nella gestione di una compagnia aerea”.

LA POSIZIONE DI FS

Da ambienti di Ferrovie si apprende un certo ottimismo circa l’avanzata del progetto. Che ha in tutto e per tutto il suo senso industriale. “Entro pochi anni raggiungeremo la cifra di mezzo miliardo di viaggiatori, per questo è necessario lavorare sull’interconnessione delle infrastrutture”, spiegano. “Questo è il Paese con il più alto appeal turistico del pianeta, i viaggiatori devono essere messi in condizione di atterrare con l’aereo e prendere il treno. Il progetto con Alitalia, cui si sta lavorando con l’ultimazione della seconda due diligence, vuole essere proprio questo”.

Lo Stato dentro Alitalia? I dubbi di Cottarelli

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