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Tra le polemiche reciproche che i due azionisti del governo stanno animando con evidenti scopi di propaganda pre-elettorale vale la pena enucleare quelle che riguardano il tema delle amministrazioni locali. Tenteremo qui di separare la polemica dalla reale problematica sottostante. Affrontare problemi veri con spirito polemico serve poco. Penso valga la pena soffermarci su due oggetti di polemica specifici: il Comune di Roma e la vicenda delle province. Analizzeremo i due aspetti separatamente.

IL COMUNE DI ROMA

La cattiva amministrazione del Comune di Roma è argomento di critiche pesanti nei confronti dell’amministrazione 5 Stelle, così come precedentemente lo era stata nei confronti dell’amministrazione di centro sinistra. La polemica tende a dimenticare che il Comune di Roma è, dall’insediamento dell’amministrazione Alemanno, sotto uno speciale regime di commissariamento, dovuto al fatto che l’amministrazione procedente (leggasi sindaco Veltroni) non aveva chiuso il bilancio in pareggio, come previsto obbligatoriamente a partire dalla L. 142/90, obbligo poi reiterato dal Dlgs 267/2000. Qui vale la pena chiedersi come questo squilibrio di bilancio possa essersi creato, dopo che, in occasione dell’entrata in vigore delle prescrizioni della L. 142/90, i conti erano stati messi in chiaro. Lo squilibrio si è creato durante l’amministrazione Veltroni.

LA GESTIONE DELLA COSA PUBBLICA

Non so quanta responsabilità abbia Veltroni di questo squilibrio. Forse la sua amministrazione ha la responsabilità di non essersi resa conto che, a seguito della realizzazione delle privatizzazioni di molti imprese pubbliche o parapubbliche basate a Roma, molte di queste imprese stavano cambiando sede, in questo modo privando il Comune di Roma di una quota notevole di risorse dovute all’Irap. C’è comunque da chiedersi quali responsabilità abbiano i revisori dei conti (senza la certificazione di un bilancio in pareggio si sarebbe dovuto avere il commissariamento del Comune). Va qui ricordato il trionfalismo dello storytelling veltroniano che andava vendendo l’immagine di una Roma che “aveva oramai superato Milano” per la qualità della vita e dei servizi. Tutto questo mentre il gettito Irap a Milano cresceva costantemente. Qui c’è una lezione da trarre: l’amministrazione degli enti locali non è una vicenda politica ma di gestione, tecnica e noiosa, della cosa pubblica.

LA VICENDA DELLE PROVINCE

Sulle province si è sviluppato un polverone di idee confuse, idee che hanno un punto in comune: abolire le province per risparmiare. Il progetto di riforma costituzionale di Renzi prevedeva, tra l’altro, l’abolizione delle province. La legge Delrio (legge 56 del 2014) provvedeva, in attesa della riforma costituzionale che le avrebbe dovute abolire, a dimagrire le province e a creare la figura della “città metropolitana” senza definirne bene la natura e la differenza con la provincia.

GESTIONI ASSOCIATE E FUSIONE DEI COMUNI

La vicenda delle province si è venuta sovrapponendo con quella delle “gestioni associate” e “fusione” dei comuni. Questa vicenda vorrebbe che i piccoli comuni dovrebbero gestire i loro servizi in maniera associata o che, addirittura i comuni si dovrebbero fondere, per realizzare economie di scala (DL 78 del 2010 convertito nella legge 210 dello stesso anno). Orbene il ministro Alfano nel 2015 emanava una circolare con cui imponeva ai prefetti di commissariare quei comuni che non avessero ottemperato a tali obblighi. Asmel (una associazione di ca. 3.500 piccoli comuni) si è opposta davanti alla giustizia amministrativa alla circolare Alfano. Durante il procedimento si è adita la Corte Costituzionale che con la recente sentenza 33 del 2019 ha dichiarato la non costituzionalità della Legge 2010 del 2010 là dove prevede la gestione associata dei servizi o la fusione dei comuni. La Corte Costituzionale si chiede se le scale previste dalla legge in questione siano effettivamente in grado di dare luogo alle economie desiderate.

TRA COMUNE E REGIONI: LIVELLI DI GOVERNO E COMPETENZE

Lo stato del livello di governo collocato tra Comune e Regione è notevolmente ingarbugliato. Opportunamente la conferenza Stato-Città ha dato vita ad un gruppo di lavoro per sbrogliare questo nodo. Il gruppo di lavoro ha messo a punto delle linee guida molto ponderate. Queste linee guida abbandonano la semplicistica via dell’abolizione delle province e si propongono di razionalizzare il livello di governo collocato tra Regione e Comune delineando la opportunità di scindere l’ambito territoriale della Prefettura da quello del livello di autogoverno sovracomunale, ambito cui dovrebbero essere ricondotti gli ATO e la gestione dei servizi industriali dei Comuni. Questo livello di decentramento dovrebbe essere ben distinto dalla città metropolitana, organismo demandato al governo delle cosidette conurbazioni (agglomerati urbani formati da più città confinanti che senza soluzione di continuità).
Orbene queste sagge linee guida hanno dato luogo a polemiche surriscaldate che nulla hanno a che vedere con la natura concreta dei problemi da affrontare.

AUTONOMIE LOCALI O ACCENTRAMENTO?

Più in generale, nel vasto dibattito sulla necessità di modernizzare la nostra pubblica amministrazione, si fa strada l’idea che la soluzione migliore sia la riduzione delle autonomie locali e l’accentramento. Basterebbe dare uno sguardo alla scena internazionale per rendersi conto che, a partire dagli anni ’70, tutto il mondo occidentale ha sperimentato una forte ondata decentralizzatrice. Ondata non dovuta ad ideologie ma a necessità tecniche. Con l’aumentare dei compiti dello Stato (che da semplice garante della legalità è vieppiù divenuto fornitore di servizi e gestore di infrastrutture) è emerso il fatto che il centro stava diventando un collo di bottiglia e che, quindi, tutta una serie di decisioni andavano giocoforza trasferite in periferia. In Italia questo processo è stato gestito male e i risultati non sono ottimali. Questo non significa che bisogna riaccentrare quello che abbiamo decentrato male, quanto che dobbiamo far funzionare il decentramento.

Il Comune di Roma e le province. La lezione da trarre

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