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Anche Praga “contagiata” dal vento delle primavere balcaniche? Migliaia di persone hanno manifestato contro il primo ministro Andrej Babis chiedendo un sistema giudiziario indipendente e le dimissioni del 64enne accusato di frode di fondi Ue. Il numero di partecipanti è stato addirittura superiore a una settimana fa.

La Repubblica Ceca segue, dunque, il trend già registrato in Serbia, Albania, Romania, Montenegro dove sullo sfondo si snoda l’articolato risiko della geopolitica nei Balcani, con le mire straniere da un lato e l’azione pro Ue e Nato dall’altro, a maggior ragione dopo la soluzione del caso Macedonia del Nord.

QUI PRAGA

La nuova ministra della giustizia, dopo le dimissioni del suo predecessore Jan Kněžínek, è Marie Benešová e ora avrà un controllo significativo sui procedimenti giudiziari molto controversi. Anche lei è finita nel mirino dei contestatori al pari del premier.

La cenere cova da tempo in questo spicchio di Balcani, dove la percezione sociale è orientata ad una generale mobilitazione contro i governi in carica. E’ accaduto in Serbia, Albania, Romania, Montenegro e non solo a cavallo di appuntamenti elettorali. A Praga sotto scacco il premier per cui le forze dell’ordine hanno proposto l’incriminazione, assieme ad alcuni membri della sua famiglia, per presunta appropriazione indebita di finanziamenti europei. Nel mirino la costruzione di un resort lux, il Nido di cicogna, stornando 50 milioni di corone (circa 2 milioni di euro) di fondi europei. La Procura di Praga sta lavorando dopo le indagini concluse lo scorso marzo. Se Babis rinuncerà alla propria immunità e nel processo sarà riconosciuto colpevole, rischierà una pena variabile da 5 ai 10 anni di reclusione. L’interessato continua a negare ogni colpa e denuncia una campagna politica denigratoria. La Commissione europea ha aperto un’ indagine per conflitto di interessi e presenterà il suo rapporto tra pochi giorni.

Tra l’altro il premier è anche protagonista di una proposta controversa: da un lato intende obbligare le banche a versare un cip dei propri dividendi al Fondo Nazionale di Sviluppo, dall’altro respinge l’idea di tassazione del settore bancario, promossa dal Partito socialdemocratico ceco (Cssd).

QUI BALCANI

La nuova ondata di manifestazioni si inserisce in un contesto caratterizzato già dall’insidioso nodo tra Serbia e Kosovo i cui destini sono complessi e ben lontani (per stessa ammissione dei soggetti coinvolti) da un soluzione in stile Macedonia del nord. Infatti lo scorso marzo, all’indomani della visita del presidente russo Vladimir Putin in Serbia, il sottosegretario di Stato americano per gli affari politici si era incontrato con Vucic per invitare il Kosovo a revocare i dazi alla Serbia. Come è noto, Haradinaj continua a resistere alle richieste mentre il kosovaro Thaci ha espresso la speranza che il Kosovo possa raggiungere un accordo commerciale con la Serbia quest’anno. Se Serbia e Kosovo restano fermi su un possibile accordo, Mosca vede in questa ennesima disputa l’occasione di scavare un solco tra Serbia ed Ue tramite appositi benefici economici. In un sondaggio pubblicato dal quotidiano Politika lo scorso anno, il 58% dei serbi ha classificato Putin come il leader straniero di cui si fidavano maggiormente.

Una serie di passaggi che, per quanto caratterizzati dagli indispensabili impulsi diplomatici, mettono a nudo la criticità presente sull’intero costone balcanico, dove operano una serie di interessi e di dinamiche apparentemente distanti ma oggettivamente connesse.

SCENARI

Un caso è rappresentato dall’Ucraina che invita la Repubblica Ceca a sostenere le sanzioni contro la Russia sui “passaporti” nel Donbas, cui Mosca replica con un nuovo programma di investimenti: il produttore russo di imballaggi flessibili Danaflex aprirà un nuovo stabilimento di produzione nella Repubblica Ceca in quello che l’azienda spera sia un punto di ingresso per i mercati dell’Unione europea.

Altro elemento che si interseca con i destini geopolitici dell’intero versante balcanico è quello relativo alla spesa per la difesa. Molti aspiranti della Nato dei Balcani occidentali non raggiungono l’obiettivo di spesa della difesa del due per cento del Pil. La Macedonia lo ha raggiunto nel 2007, quando ha speso il 2,15 per cento ma nel 2018 la cifra è scesa all’uno per cento. Ciò è il risultato di una riduzione programmata del personale militare. La Serbia nel 2017 ha speso 731 milioni di dollari secondo le rilevazioni dell’Istituto internazionale di ricerca di pace di Stoccolma (SIPRI). A seguire c’è l’Albania con 162 milioni di dollari e il Montenegro con 74 milioni di dollari.

Infine le telecomunicazioni: entro il 2024 gli operatori di telefonia mobile in Repubblica Ceca potranno lanciare le reti 5G, in attesa dell’aggiudicazione da parte del governo delle frequenze, la cui deadline è nel prossimo novembre.

twitter@FDepalo

Il vento delle primavere balcaniche contagia anche Praga (che scende in piazza)

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