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“Vogliono la botte piena e la moglie ubriaca”. Basta un proverbio a Dani Rodrik, professore di Economia politica alla John Kennedy School of Government di Harvard, tra i massimi studiosi di economia politica al mondo, per riassumere l’essenza del sovranismo. L’economista di origini turche spiega in un’intervista esclusiva con Formiche.net perché gli accordi fatti dai Paesi europei con la Cina tradiscono il suo famoso trilemma. I sovranisti si illudono di poter tenere insieme democrazia, sovranità e globalizzazione. Ma, provoca Rodrik, davvero sei sovrano e democratico se metti il tuo debito nelle mani di un Paese straniero?

Dani Rodrik, siamo di fronte a una nuova Guerra Fredda fra Stati Uniti e Cina?

Certamente siamo di fronte a una nuova Guerra Fredda economica, spero non si trasformi presto in una guerra calda. Io uso il termine “coesistenza pacifica”, che è ciò che ha impedito a Stati Uniti e Unione Sovietica di scatenare una guerra nucleare.

Come?

È successo perché entrambi i Paesi hanno realizzato che non avrebbero potuto cambiare i rispettivi sistemi politici, l’Unione Sovietica doveva convivere con un’America capitalista e viceversa l’America non era in grado di sradicare il partito comunista dall’Urss. Non erano certo rose e fiori ma almeno è stata evitata un’escalation nucleare.

Come evitare un’escalation con la Cina?

Credo che dovremmo tentare un’operazione simile nell’economia globale. Gli Stati Uniti non possono rifare a loro immagine e somiglianza l’economia cinese né la Cina può pensare di giocare con regole diverse, sfruttando l’apertura dei mercati stranieri e mantenendo barriere al mercato interno. Abbiamo bisogno di una coesistenza pacifica in economia, in cui gli Stati non cercano di forzare altri Stati a convergere verso il loro modello ideale.

Cosa si aspetta dal nuovo round di negoziati commerciali?

Mi aspetto un compromesso, Trump sarà bravo a capitalizzarlo politicamente. Ma non mi farei illusioni: la Cina non farà più concessioni di quante non ne abbia già fatte.

Rodrik, la Cina è una superpotenza economica?

Le politiche economiche cinesi devono fare i conti con quattro decenni di successi. Ci sono certamente dei punti di debolezza, un fragile assetto finanziario, una crescita debole che sconta gli errori della politica. È pur vero che negli ultimi quarant’anni la Cina ha smentito molti scettici, è presto per saltare alle conclusioni.

Qualcuno ancora dibatte della possibilità di riconoscere alla Cina lo status di economia di mercato (Mes). Follia?

Il modello economico cinese è un unicum, non è paragonabile con quello di nessun altro Stato. D’altronde non esiste l’economia di mercato perfetta, ma solo sistemi misti. L’economia cinese si distingue da qualsiasi altra economia occidentale per una presenza dello Stato che non ha eguali. C’è solo un ossimoro che permette di definirla: è un’economia di mercato diretta dallo Stato.

A proposito di mercato, davvero questa nuova Via della Seta di Xi vuole intrappolare i Paesi aderenti con il debito?

Il vero problema della BRI non è tanto la cosiddetta trappola del debito. Ci sono tanti Paesi che dopo aver aderito al progetto di Xi si sono ritrovati con un debito monstre verso la Cina, ma questo è quel che succede quando qualsiasi Paese si indebita. Il problema semmai risiede nella mancanza di trasparenza su come questo debito viene riscosso, ci sono relazioni opache di cui non sappiamo a sufficienza. In questi anni la Cina ha imparato come diventare un formidabile creditore.

Ultima domanda. I sovranisti vogliono commercio, democrazia e sovranità al tempo stesso. È il suo trilemma che è sbagliato o c’è altro?

Talvolta c’è chi ha una sola torta e si illude di poterne mangiare due. La domanda sorge spontanea. Quanta democrazia e sovranità pensi di avere se non riesci a onorare il tuo debito e ti ritrovi a dover pagare uno Stato straniero? È la domanda che si sarebbero dovuti porre tanti Stati prima di abbracciare la globalizzazione finanziaria.

Speriamo che la guerra tra Usa e Cina non diventi calda. Intervista a Dani Rodrik

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