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Lo Stato islamico ha rivendicato un attacco in Libia nell’area di Sebha, nel sudovest, dove si trova una base avanzata del signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar. La dichiarazione con cui baghdadisti si sono intestati la paternità di quanto avvenuto questa notte è stata diffusa nel pomeriggio odierno attraverso i canali ufficiali della propagande del gruppo terroristico. La rivendicazione parla di “soldati del califfato” che hanno attaccato quelli che definiscono “gli infedeli e gli apostati”, ossia gli uomini dell’Lna, l’esercito nazionale libico, nome che Haftar ha affidato ai suoi miliziani.

Secondo quanto sostiene l’Is, i morti sarebbero 16, ma fonti libiche parlano di nove, tutti appartenenti alle forze haftariane (al centro di addestramento di Sebha c’è la base di una componente dell’Lna che si auto-definisce il 166th battaglione di fanteria). Nello comunicato, che riporta anche una serie di foto dal luogo dell’azione, c’è scritto che alcune armi sono state rubate, un carro armato è stato distrutto da un IED (una trappola esplosiva) e che durante l’attacco alcuni elementi del gruppo presi in custodia dalle forze haftariane sono stati liberati.

Lunedì inizia il Ramadan e, dopo il rarissimo video diffuso pochi giorni fa in cui il califfo Abu Bakr al Baghdadi si congratulava con i suoi combattenti libici e quelli di altre aree africane, è possibile che l’azione sia stata ispirata, o coordinata, o abbia una volontà simbolica.

Lo Stato islamico in Libia è stato sconfitto alla fine del 2016, quando le milizie di Misurata, accompagnate dalla copertura aerea americana e dal coordinamento a terra di alcuni advisor militari occidentali, liberarono Sirte. La città sulla costa centro-orientale libica a quei tempi era diventata la terza roccaforte internazionale del Califfato, dopo Mosul e Raqqa. A rafforzare la catena di comando, anche con l’obiettivo di usare la Libia come centro di ampliamento a tutta l’area maghrebina, erano arrivati elementi dall’Iraq, anche leader di primissimo livello, vicino al cerchio magico califfale.

Dopo la sconfitta, l’Is si è rintanato in una semi-clandestinità. I tentativi di creare campi di addestramento e centri di coordinamento/reclutamento sono stati più volte oggetto di raid aerei americani, e per questo la dimensione strisciante è diventata il modus del gruppo da almeno un anno. I baghdadisti si sono rintanati nelle aree centro-meridionali, coperti dal deserto; ogni tanto sono riapparsi, hanno organizzato posti di blocco, chiesto documenti, rapito qualcuno per ottenerne il riscatto, qualche vendetta contro i collaborazionisti. Sempre tutto in forma molto rapida per non dare troppo nell’occhio, ma al tempo stesso confermare una presenza territoriale, una pressione profonda.

Nell’ultimo mese, però, complice anche il nuovo contesto caotico favorito dall’aggressione di Haftar contro Tripoli (azione pensata con l’obiettivo di destabilizzare il governo insediato sotto egida Onu e conquistare la Libia con le armi), gli uomini di Baghdadi sono tornati più in vista. Ci sono state altre due azioni rivendicate, una ad al Fuqaha (sempre nel sud: un assalto notturno contro l’abitazione del sindaco locale, blitz a che ha ottenuto i galloni con il compiacimento di Baghdadi stesso nel video recente) e un’altra a Sebha.

Lo Stato islamico in Libia è un attore indipendente che mira direttamente ai propri interessi: il caos, la destabilizzazione, favorisce l’attecchimento delle sue predicazioni. I conflitti interni sono stati ovunque un terreno fertile per le istanze del gruppo.

L’attacco di ieri notte, e la successiva rivendicazione, potrà essere spesa da Haftar per sostenere la sua narrazione con cui nasconde l’aggressione a Tripoli come un’azione anti-terrorismo. Ma le forze che proteggono il governo onusiano non sono collegate al Califfato, basta pensare che tra queste ci sono le stesse milizie misuratine che tre anni fa hanno liberato Sirte. All’opposto, lo Stato islamico può sfruttare questo genere ulteriore di confusione per crearsi i propri spazi e aumentare il livello di caos interno al paese.

Ieri, durante l’audizione alla Camera, il ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, ha parlato esattamente di questo: l’effetto “paradossale” con “l’obiettivo che viene posto avanti dal generale Haftar ha avuto recrudescenze con almeno due episodi”. Si tratta delle due azioni collegate allo Stato islamico libico, oggi là terzo contro l’Lna, che i baghdadisti hanno già combattuto a Bengasi, e che detestano perché sostenuto da sauditi, emiratini ed egiziani, nemici giurati del Califfo.

Nella guerra in Libia entra in scena lo Stato islamico

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