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Lo scontro economico e geopolitico fra Stati Uniti e Cina è ormai a tutto campo. Non c’è settore – dalle telco all’energia passando per le infrastrutture – che non veda opposti i due rivali strategici, con il primo deciso a non cedere ulteriori posizioni ai piani espansionistici del secondo.

In questa lunga partita, per giocare la quale Washington sta chiamando a raccolta i suoi alleati sparsi per il globo, l’amministrazione americana inizia a ricevere segnali incoraggianti.

A Lisbona, l’assemblea dei soci di Energias de Portugal – l’Enel del Paese – ha respinto un’Opa da 9 miliardi di China Three sul primo produttore lusitano, proprietario di alcuni parchi eolici negli Usa. Una vittoria non da poco.

Più complesso il fronte delle nuove tecnologie, nel quale Londra, elemento di peso dell’alleanza anglofona di intelligence sharing dei cosiddetti Five Eyes (che raggruppa Regno Unito, Usa, Australia, Canada e Nuova Zelanda) ha deciso di non chiudere la porta a Huawei per lo sviluppo delle reti mobili ultraveloci di ultima generazione, impedendole tuttavia l’accesso alle parti ‘core’, ovvero a pezzi sensibili come le antenne e le componenti di rete.

Sul tema 5G l’amministrazione americana sta investendo molte energie attraverso un’incessante attività di sensibilizzazione che vede in prima linea innanzitutto il Dipartimento di Stato, in raccordo con tutte le articolazioni della diplomazia e degli apparati di intelligence e sicurezza di Washington. Il timore statunitense, più volte evidenziato anche in contesti pubblici, è che le aziende del Dragone possano costituire un potenziale veicolo di spionaggio a beneficio della Repubblica Popolare, soprattutto a causa di leggi nazionali che le costringerebbero a collaborare con la madrepatria. Per questo, ha ricordato il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale Usa, Garret Marquis, l’obiettivo del presidente Donald Trump è quello di lavorare con governi alleati e partner per mitigare quanto più possibile questo rischio che metterebbe a repentaglio gli scambi informativi, ma anche il know-how militare e civile delle nazioni occidentali.

Della technological war in atto fa parte anche un altro dossier, quello relativo ai cavi sottomarini in fibra ottica per portare internet e traffico dati laddove ancora non ci sono. Mentre big tech americane del calibro di Google e Facebook investono in nuovi collegamenti per il continente africano, la Cina non sta a guardare. Huawei Marine, società controllata dall’omonima telco, ha già concluso un progetto che dal Brasile al Camerun unisce le due sponde dell’Atlantico, mentre prende corpo la cosiddetta Via della seta digitale destinata a connettere Asia, Africa e Europa.

Quest’ultimo aspetto si coniuga al più ampio piano della Belt and Road initiative, il progetto infrastrutturale transnazionale che Pechino sta promuovendo per collegare l’Asia al cuore del Vecchio continente, e al quale l’Italia ha recentemente aderito con un memorandum d’intesa – unico tra i Paesi del G7 a compiere finora questo passo – siglato nonostante le forti perplessità dei Paesi europei e dell’alleato americano, ma anche di partner come il Giappone. Non è un caso che il premier giapponese Shinzo Abe, in visita in Italia, abbia messo in guardia il suo omologo Giuseppe Conte sui progetti dell’ingombrante vicino cinese proprio alla vigilia del viaggio nella Repubblica Popolare dell’inquilino di Palazzo Chigi. Oggi si apre a Pechino il secondo forum dedicato alla Bri, in un momento in cui il progetto sembra mostrare molte crepe, con incertezze e critiche anche da chi vi ha già preso parte. Mentre nelle prossime ore il primo ministro italiano sarà in Cina, dove incontrerà il presidente Xi Jinping.

L’Italia sarà ancora una volta al centro dell’attenzione, in virtù del suo tradizionale schieramento geopolitico filoatlantico, della sua centralità nel teatro mediterraneo, e del suo peso economico di nazione, nonostante le difficoltà, tra le più industrializzate del pianeta. Da Roma, dopo il ‘passo falso’ dell’adesione alla Bri, gli alleati si attendono una presa di posizione netta che non metta da parte la legittima volontà di incrementare gli scambi commerciali con Pechino, ma che al tempo stesso si focalizzi su alcuni punti ritenuti fondamentali. Ad esempio il bisogno di reciprocità tra le rispettive economie (come si evidenzia nell’accordo Ue-Cina siglato a Bruxelles), di standard di diritti umani e dei lavoratori equivalenti a quelli occidentali, nonché di una esclusione del 5G dagli accordi, un tema che viene chiesto una volta per tutte di chiarire, viste la presenza delle telco nel memorandum, la posizione ondivaga dell’esecutivo e i messaggi ‘criptici’ di alcuni rappresentanti del governo come il sottosegretario al Mise Michele Geraci. In sintesi, si chiede a Roma di non avallare ulteriormente le mire espansionistiche del gigante asiatico, anzi di porvi un argine.

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