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A luglio dello scorso anno, Michael R. White, californiano di 46 anni e veterano dello Us Navy, avrebbe dovuto prendere un aereo per tornare negli Stati Uniti, dopo aver passato dei giorni in Iran dalla sua compagna. Era già stato almeno altre cinque volte nel Paese, ma questa non è mai rientrato. Il 7 gennaio la sua famiglia aveva raccontato la storia al New York Times. La scomparsa iniziava a sembrare da troppo tempo strana – sospendere i contatti con i propri cari e sparire di fatto in un Paese ostile agli Usa non è una vicenda comune. Allora i famigliari avevano presentato la domanda per “persona scomparsa” sia al dipartimento di Stato che alla Homeland Security.

La madre ha poi detto di aver ricevuto soltanto tre settimane fa informazioni da Foggy Bottom: Michael era in una prigione iraniana. Sta bene (ma soffre di asma, e prima di partire per l’Iran aveva subito trattamenti chemioterapici per un tumore al collo). C’è la possibilità di una visita organizzata tramite la diplomazia svizzera, che cura le non-relazioni tra Washington e Teheran. Il Nyt ha chiesto informazioni a sua volta al dipartimento di Stato prima di pubblicare l’articolo. Risposta: siamo a conoscenza dell’incarcerazione, la sua sicurezza è la nostra priorità, ma per ragioni di privacy non possiamo parlarne.

Il 9 gennaio, l’agenzia stampa Tasmin ha confermato per prima che White era stato arrestato, ed era tuttora detenuto, senza spiegarne la causa – Tasmin è un organo media dei Guardiani della Rivoluzione, il corpo militare teocratico che ha diramazioni profonde all’interno del sistema politico-economico-sociale della Repubblica islamica, e che ha una posizione molto avversa a Stati Uniti e Occidente in genere. Poi ha parlato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano (un dicastero da cui ultimamente spesso partono provocazioni contro Washington): White è stato arrestato “un po’ di tempo fa” e si trova in una galera di Mashhad (nel nordest). Niente di più: White diventa il terzo americano a trovarsi attualmente in questa condizione ambigua.

La relazione tra Stati Uniti e Iran è complicata. Il californiano è il primo americano incarcerato dell’era Trump, quella in cui gli ayatollah sono stati di nuovo iscritti nelle lista dei cattivi. Il presidente Donald Trump ha cancellato infatti i progressi diplomatici ottenuti dal suo predecessore, tirando fuori Washington dall’accordo multilaterale sul nucleare iraniano. La Casa Bianca è sostenuta su questa linea da molte parti dell’amministrazione (a cominciare dal dipartimento di Stato di Mike Pompeo, sostituto trumpiano di John Kerry, il distillato obamiano che è stato l’uomo che ha costruito personalmente i rapporti con Teheran prima di arrivare alla firma del Nuke Deal nel 2015).

La Repubblica islamica – secondo l’attuale dottrina americana – mente sull’accordo nucleare e continua in segreto a far lavorare centrifughe e centri di ricerca, e contemporaneamente costruisce missili balistici da utilizzare come vettori quando il deal scadrà. Di più: Trump aveva spiegato, annunciando la decisione di tirarsi fuori dall’accordo, che a Teheran “manca lo spirito”. Perché gli iraniani – deal o meno – stanno diffondendo la loro influenza pestifera (l’aggettivo va secondo gli Usa, ndr) nella regione mediorientale attraverso il sostentamento economico di gruppi politici paramilitari. Gli Hezbollah in Libano, altre milizie in Iraq e Siria, gli Houthi in Yemen, e poi in Afghanistan, Pakistan, Sudan: mezzi con cui scalare il potere amministrativo interno – come successo a Beirut – e assicurarsi un controllo più o meno diretto su questi altri Paesi.

L’arresto di White è un’ulteriore complicazione e un elemento che potrebbe far aumentare le tensioni. Gli americani condividono la linea con gli alleati del Golfo e con Israele, Paesi che vedono l’Iran come un nemico esistenziale (lettura ricambiata a Teheran) e che chiedono agli Stati Uniti sponde nel loro confronto/scontro regionale. Un terreno di sfogo è la Siria, da dove Trump voleva ritirare le truppe, che invece resteranno anche con il compito politico-militare di evitare che l’Iran – forte dell’aiuto fornito con successo e sacrificio al regime – la trasformi in una piattaforma armata in Medio Oriente, con affaccio sul Mediterraneo.

Martedì i 28 Paesi dell’Unione Europa hanno approvato nuove sanzioni all’Iran, le prime dopo il 2015, l’anno del deal. Colpiti due cittadini e un’unità dei servizi di intelligence accusati di aver progettato – per conto del governo di Teheran – due attacchi in Francia e Danimarca, dove a giugno e ottobre dello scorso anno gli iraniani hanno cercato di colpire raduni e personalità del gruppo di opposizione noto come Mek. Tentativi sventati a Parigi, in un incontro pubblico a cui partecipava anche Rudy Giuliani (l’avvocato di Trump), e su suolo danese, dove gli iraniani volevano assassinare uno dei leader del Mek – un gruppo che ha come obiettivo il rovesciamento del regime teocratico iraniano.

trump, usa, Hamas iran

Un cittadino americano arrestato in Iran. Tensioni ulteriori tra Washington e Teheran

A luglio dello scorso anno, Michael R. White, californiano di 46 anni e veterano dello Us Navy, avrebbe dovuto prendere un aereo per tornare negli Stati Uniti, dopo aver passato dei giorni in Iran dalla sua compagna. Era già stato almeno altre cinque volte nel Paese, ma questa non è mai rientrato. Il 7 gennaio la sua famiglia aveva raccontato la storia…

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