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Alla fine tutti i nodi sono venuti al pettine e ai truffati delle banche non è rimasto altro, domani si vedrà, che un pugno di mosche. La norma di base esiste da tempo. Segnata a caratteri indelebili nella legge di Bilancio (la 145 del 2018) ai commi 493-597. Ma sono parole scritte sulla sabbia. Frutto di un furbizia fin troppo miope, che non ha retto alla prova del budino. La Commissione europea, innanzitutto, non l’ha bevuta. Poi in seconda battuta è intervenuta la Corte dei conti: attenti a quello che fate. Se erogate indennizzi a pioggia, ne risponderanno personalmente, per danno erariale, coloro che firmeranno le relative autorizzazioni. Ed allora il panico ha preso il sopravvento. Un conto è l’eventuale multa europea, destinata a pesare sulle casse dell’Erario. Altra cosa è minacciare il singolo funzionario, facendogli balenare l’idea di doverci rimettere del proprio. E così tutto si è bloccato.

Nuova delusione, quindi. Quel famoso decreto che doveva garantire un minimo di ripresa nascerà senza queste norme. Ad un effetto economico-finanziario più che modesto, se ne sommerà uno politico ancor più sconcertante. Che renderà più evidente quel mix di avventurismo e velleitarismo che connota da tempo la politica economica del governo. Un giudizio troppo severo? Non sembrerebbe: basta ricordare le principali norme che regolano il caso. E poi confrontarle con la telenovela che ha occupato le pagine dei principali giornali. Con la vita del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, data in pasto ad un’opinione pubblica sempre più sconcertata. Come se non fosse stato evidente che quei gossip scandalistici, al di là del merito, altro non erano che l’arma usata per imporgli ciò che non poteva essere dato.

Troppa indulgenza? La norma base stabilisce che l’indennizzo debba essere corrisposto a coloro che “che hanno subito un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia”. Che si siano rese colpevoli di “violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza”. Non basta quindi aver subito un danno, occorre anche accertare ch’esso sia stato la conseguenza di una sorta di raggiro. Del fatto cioè che il relativo contratto (acquisto di azioni o obbligazioni subordinate) veniva stipulato tra due soggetti – la banca ed il risparmiatore – in cui il primo si approfittava della sua posizione dominante.

In qualsiasi ordinamento giuridico l’accertamento delle relative responsabilità presuppone il giudizio in tribunale. Cosa impossibile di fronte ad una platea di truffati che sfiora le 300mila persone. Ed ecco allora l’iniziale furbizia. La costituzione di una speciale Commissione per vagliare i singoli casi. Il comma 501 ne attribuisce la responsabilità al ministro dell’Economia. Doveva scegliere “nove membri in possesso di idonei requisiti di competenza, onorabilità e probità” cui delegare l’istruttoria delle domande. Doveva emanare il relativo decreto entro la fine di gennaio. Siamo ad aprile e non è successo nulla. Salvo la crescente irritazione di Luigi Di Maio e di Matteo Salvini, che, a differenza dei tecnici, ragionano di politica e guardano alle scadenze elettorali. Lo scontro che si è consumato in questi giorni ha quindi queste coordinate.

Le resistenze di Tria nascono dalle carenze della legge. Di conseguenza non ha ritenuto opportuno predisporre i relativi decreti. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in un disperato tentativo di mediazione, ha dichiarato la sua disponibilità ad avocare a sé l’ingrato compito. Gli eventuali decreti, necessari per dare attuazione al provvedimento, saranno emanati direttamente dalla presidenza del Consiglio. Ma ciò avrebbe richiesto una modifica della normativa di base: da far confluire nel decreto per la crescita. Poi, visto che ci si doveva mettere le mani, si poteva introdurre qualche ulteriore qualificazione (l’indipendenza che non fa mai male) della Commissione, nella speranza di attenuare, seppur di poco, le riserve europee. Ma una volta aperta la stura delle possibili modifiche è stata una valanga. Con tutti a proporre cose diverse da quelle stabilite dalle “vecchie” norme. Seguirne i tortuosi percorsi è forse un’inutile fatica. Meglio aspettare, per vedere quale sarà il relativo punto di caduta. Cosa che avverrà – almeno si spera – in un prossimo Consiglio dei ministri. Nel frattempo il tiro al piccione, contro il ministro dell’Economia, non rappresentando più un impedimento, è forse destinato ad attenuarsi. Tutto è tornato ad essere in mano della politica. Il che può essere anche giusto. Sempre che la stessa si dimostri all’altezza di quegli ostacoli che deve comunque superare. Si può infatti azzoppare un ministro dell’Economia, ma è molto più difficile duellare con la Commissione europea e la Corte dei conti. E sperare di vincere la partita.

Vi spiego perché sui truffati dalle banche siamo ancora in alto mare

Alla fine tutti i nodi sono venuti al pettine e ai truffati delle banche non è rimasto altro, domani si vedrà, che un pugno di mosche. La norma di base esiste da tempo. Segnata a caratteri indelebili nella legge di Bilancio (la 145 del 2018) ai commi 493-597. Ma sono parole scritte sulla sabbia. Frutto di un furbizia fin troppo…

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