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Chi sono i retori contemporanei? Lo siamo tutti. Ogni parlante è retore a sua insaputa. Per primi coloro che dichiarano di “parlare fuor di retorica”. Sono quelli che, proprio mentre affermano la loro verginità argomentativa, stanno usando una preterizione, ossia una delle più classiche tra le figure retoriche.

Vogliamo qui approfondire due campi in cui la retorica regna sovrana: la politica e il digitale. Sono due mondi che spesso si sovrappongono, perché il digitale è diventato uno strumento formidabile per la diffusione della retorica politica.

Il web è il regno delle fallacie, quei ragionamenti che sembrano logici ma, a guardare bene, non lo sono. Apriamo Facebook e ci troviamo nella pagina del maestro del genere: il sofista Matteo Salvini. Ci imbattiamo subito in un post che parla di Europa, con un argumentum ad hominem. Una strategia che consiste nell’attaccare frontalmente una persona o, in questo caso, un’istituzione resa persona attraverso la figura della prosopopea. L’attacco viene preferito – ed è qui la fallacia – alla molto più complessa articolazione di una serie di argomentazioni contrarie. L’Europa è il nemico contro la quale scagliare l’urgenza di schieramento degli utenti del web. Ce l’ha con noi italiani perché ci considera una sua ancella, una sua “succursale”: “In Europa hanno capito che oggi in Italia c’è un governo, non una loro succursale. E noi col cappello in mano non andiamo più” recita il post salviniano. Ma la smania di etichettare il nemico non è una prerogativa della Lega. Matteo Renzi, ad esempio, chiamava #sorciverdi e #gufi tutti coloro che non erano d’accordo con le sue iniziative.

Per non fare torto a nessuno, andiamo in campo M5S, dove rimarrà storico l’ossimoro dell’”obbligo flessibile” delle vaccinazioni del ministro della salute Giulia Grillo. Non trascuriamo neanche un’incursione dal nostro premier Giuseppe Conte che, come ha fatto notare Jacopo Iacoboni su Twitter, in una recente intervista al Corriere della Sera ha attivato la classica modalità supercazzola, che è la regina di tutte le fallacie perché compie la magia di far sembrare sensato qualcosa che un senso non ce l’ha. Quando gli intervistatori Luciano Fontana e Massimo Franco gli chiedono conto dei rapporti con gli Stati Uniti in merito all’accordo con la Cina, risponde con un supercazzolesco: “Con gli Stati Uniti il dialogo e l’aggiornamento sono costanti”. Quando gli chiedono dei rapporti con Junker la risposta è: “abbiamo un dialogo costante” e quando si arriva alla domanda sui rapporti con Mattarella, la risposta è… “Il dialogo con lui è costante”. Non avevamo dubbi.

Nel nostro libro non demonizziamo le fallacie, perché le usiamo tutti e perché sono uno strumento legittimo di comunicazione. Sosteniamo solo che andrebbero studiate per essere cittadini meno ingenui e impreparati. La retorica, inoltre, non deve essere considerata come uno strumento negativo, ma come uno strumento e basta. Usa la retorica, una bellissimo captatio benevolentiae, Alcide De Gasperi nel suo incipit del discorso alla Conferenza si Pace di Parigi nel 1946, dove si trova a parlare in un clima ostile e in rappresentanza di un Paese vinto: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”.

Veniamo ora al digitale che, sulla carta, dovrebbe esser il nemico numero uno della retorica. L’ha invece riportata al centro, rivestendo il suo corpo antico con abiti moderni. Un digitale che sta però scappando di mano a causa di un sempre più diffuso fondamentalismo tecnologico: il credere cioè che la tecnologia sia la fonte di tutto – delle opportunità e delle minacce – e che le stesse minacce, a loro volta, possano essere neutralizzate con altra tecnologia, più moderna e potente. Per contrastare questa deriva – e più in generale – la creduloneria nel sentirsi capace di capire ciò che è vero e ciò che è falso (le fake news) o di sentirsi giudice di ciò che è giusto o sbagliato semplicemente ascoltando le proprie emozioni e desideri (il populismo), ci viene in soccorso la retorica e in particolare il pensiero critico. L’abilità, cioè, di cogliere i ragionamenti fallaci, le ipotesi non supportate e trasformate in principi, le tecniche persuasive che attivano automatismi del nostro cervello. La retorica, dunque, non insegna solo a parlare ma anche ad ascoltare. Ed è un vaccino, un crap detector, un rivelatore di scemenze, come diceva Hemingway. Perché, oltre a insegnarci a comunicare meglio, ci aiuta a non essere immunodepressi nei confronti del populismo, della manipolazione e dei falsi miti del mondo in cui viviamo.

La retorica non appartiene al passato. Al contrario, la retorica è viva. E gode di ottima salute. È questo il titolo che abbiamo voluto dare, con Flavia Trupia, al nostro libro recentemente pubblicato per Franco Angeli.

Swg

Dal sofista Salvini alle supercazzole di Conte. La retorica del populismo nel libro di Granelli e Trupia

Di Andrea Granelli e Flavia Trupia

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