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Altro giorno, altro spread. Dopo un martedì difficile in cui il differenziale Btp-Bund ha sfondato quota 300 il giorno dopo i mercati, almeno nella prima parte della mattinata, hanno fatto un leggero passo indietro (spread a 284 pt e rendimento del titolo decennale a 3,3%). È solo un piccolo break di un’altalena continua, destinata a dondolare finché non si sapranno i dettagli del Def sottoposto al vaglio del Parlamento. Complici nell’allentamento delle tensioni in avvio di giornata le indiscrezioni secondo cui il governo Conte avrebbe deciso nel vertice di Palazzo Chigi andato in scena martedì pomeriggio di rivedere a ribasso le stime del rapporto deficit/pil al 2,4% per gli anni successivi (si parla di un 2,2% per il 2020 e 2% per il 2021). A gettare acqua sul fuoco il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che intervenendo alla presentazione del rapporto del Centro Studi di Confindustria ha garantito che ci sarà “un graduale ridursi del deficit negli anni successivi”.

Un messaggio alla Commissione Ue che però rischia di rimanere inascoltato finché il governo non squarcerà il velo sul contenuto effettivo della manovra. Rimane scettico Carlo Cottarelli, che questa mattina ha preso parte al seminario della Fondazione Einaudi “Nazionalizzazioni vs Mercato” assieme a Marco Bentivogli e Carlo Nordio. Intercettato da Formiche.net a margine dell’incontro, il direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano ha commentato le prime reazioni dei mercati. “Avevo detto che se non ci si fosse spinti oltre un rapporto deficit-pil del 2% i mercati avrebbero risposto in maniera abbastanza tranquilla” – spiega l’economista – “non è stato così, e non mi meraviglio troppo, visto che addirittura si è arrivati a un 2,4% ben lontano dai numeri concordati con la Commissione”. Nessun allarmismo, chiarisce: “Non penso che la situazione vada fuori controllo e sinceramente non lo spero. Resta da vedere se questo 2,4% rimarrà tale nei prossimi anni o salirà, spero che sia fatta chiarezza al più presto”. Non convince neanche la stima di riduzione annua del rapporto debito pubblico-pil: “1%? È troppo poco, per me serve ridurlo del 3% l’anno, se il debito scende troppo lentamente rischia di esporsi al primo shock”.

Quanto ai cavalli di battaglia della manovra, di cui finora si sa poco e nulla, il docente della Cattolica non nasconde i suoi dubbi sul reddito di cittadinanza targato Cinque Stelle. Non regge, dice Cottarelli, il ragionamento per cui più soldi alle fasce più deboli debbano per forza tradursi in consumi e crescita. “Non può essere il reddito di cittadinanza in sé ad aumentare la crescita, che aumenta solo se il Pil cresce ogni anno. Cosa facciamo, aumentiamo ogni anno anche il reddito di cittadinanza?” si chiede il direttore dell’Osservatorio Cpi. “Questo è uno strumento che interviene sulla redistribuzione del reddito a favore delle famiglie in difficoltà, e va benissimo”– conclude – “Ma le misure permanenti devono essere finanziate con misure permanenti, cioè con le tasse, non prendendo a prestito soldi”.

Con il reddito di cittadinanza non si cresce. Parola di Carlo Cottarelli

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