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Il comparto dell’aerospazio e difesa ha bisogno che la politica offra una visione strategica di lungo periodo. Mettere in discussione la partecipazione al programma F-35 non risponde a tale esigenza, e anzi scopre il fianco a una perdita ulteriore di lavoro altamente qualificato e rischia di mettere in difficoltà il settore di fronte alla sfida della Difesa europea. Parola di Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad, la federazione che riunisce la aziende italiane dell’aerospazio, difesa e sicurezza, e che rappresenta (dati al 31 dicembre 2017) oltre 60mila addetti, per un fatturato annuo che supera i 16 miliardi di euro. Formiche.net lo ha raggiunto per commentare “il ridimensionamento” del programma Joint Strike Fighter annunciato ieri dal premier Giuseppe Conte; parole che “sorprendono”. Difatti, ha detto Festucci, “ho troppa stima di questo governo perché non sia consapevole di quello a cui si sta andando incontro se lo schema è quello di cui leggiamo ogni tanto sui giornali”.

PERCHÉ NON BISOGNA TAGLIARE

“Parlare di F-35 non è un qualcosa di astratto; riguarda contratti e impegni che l’Italia ha già preso con un altro Paese e con diverse aziende”. Tra l’altro, ha aggiunto Festucci, “tagliare il programma non avrebbe effetti nell’immediato, ma solo negli anni avvenire, poiché non è previsto che in questo momento si spendano soldi”. Al contrario, “si tradurrebbe nel pagamento di penali significative, ma soprattutto nella perdita di capacità di acquisire lavoro e tecnologia”. Inoltre, un eventuale ridimensionamento, “ridurrebbe i rapporti con il Pentagono e con Lockheed Martin”, l’azienda americana che guida il programma Jsf.

COSA FARE

D’altronde, “l’F-35 rappresenta prima di tutto un’esigenza per le Forze armate, a cui l’industria si è correlata dando il meglio di sé”. Aeronautica e Marina “hanno ritenuto, dopo attente valutazioni, che per le loro esigenze servisse un aereo di questo tipo”. Così, piuttosto che tagliare, occorrerebbe “dimostrare che l’investimento fatto risponde a necessità operative, ma anche che il programma ha portato in Italia lavoro aggiuntivo, sia in termini di quantità che di qualità”. Poi, ha spiegato ancora Festucci, “sarebbe più utile andare a negoziare con gli americani, ammettendo che il governo non condivide il programma e ricordando che l’Italia ha fatto molto, e che ora ha bisogno di dimostrare ai propri cittadini un ritorno di lavoro maggiore, magari mettendo sul piatto anche altre gare”. Al contrario, “decidere di tagliare manderebbe un messaggio negativo, e significherebbe non vedere più un centesimo di lavoro dagli Stati Uniti”.

GLI INSEGNAMENTI DEL PASSATO

D’altronde, in passato l’Italia ha già ridotto la partecipazione al programma (passando da un piano d’acquisto per 131 velivoli ai 90 attuali). Già in quel caso, “abbiamo avuto un ritorno di lavoro molto più basso”, ha ricordato Festucci. In particolare, inizialmente si prevedeva che il centro di Cameri, “costruito con i soldi pubblici”, fosse il centro per manutenzione, riparazione e aggiornamento (Mro&U) di tutti gli F-35 europei. “Ci avrebbe permesso un lavoro di quantità e qualità, consentendoci di mettere mano su tecnologie e di riempire i magazzini con tutti i pezzi del velivolo”, ha spiegato il segretario generale dell’Aiad. Eppure, “la riduzione dei piani di acquisto ha portato la warehouse in Olanda, nonostante Cameri fosse già pronta”. Ciò dimostra che “continuare a discutere di ridurre gli impegni presi, anziché porre le cose in senso positivo, potrebbe avere altri effetti negativi”.

LA NECESSITÀ DI UNA VISIONE DI LUNGO PERIODO

Tutto questo si lega all’esigenza, per il comparto nazionale della difesa, di avere un prospettiva di investimenti di lungo periodo dalla politica. “Il nostro settore ha bisogno di continuità; dobbiamo avere una visione strategica che superi l’immediato”. Il riferimento è anche al recente dibattito relativo “al programma Camm-Er”, scelto da tempo per la futura difesa aerea nazionale, con investimenti già realizzati e impegni presi a livello internazionale (in questo caso con il Regno Unito). Sul tema avrebbero discusso il ministro della Difesa Elisabetta Trenta e il vice premier Luigi Di Maio, con la prima impegnata a portare avanti un programma già definito e necessario per questioni di sicurezza nazionale, e il secondo che avrebbe invece imposto lo stop. Eppure, ha spiegato Festucci, “anche in quel caso, non si può parlare solo di soldi, poiché si tratta di investimenti che garantiscono la difesa ai cittadini e ai soldati impegnati all’estero”. Pare “incredibile – ha aggiunto – che non si ragioni in questi termini; mi sembra superficiale”.

IL CONTESTO EUROPEO

Tra l’altro, tutto questo si lega alla nascente difesa europea, per cui la Commissione ha già proposto un Fondo da 13 miliardi per il periodo 2021-2027. “Presto o tardi avremo una difesa comune; ciò significherà cedere un pezzetto delle sovranità nazionale, e conseguentemente si tradurrà in una razionalizzazione della nostra industria. Se non siamo dentro i grandi programmi – ha detto Festucci – saremo fuori dalla partita europea”. In altre parole, si tratta “di decidere se sedere a tavola da commensali o da menù”. Difatti, il piano europeo “prevede che possano beneficiare dei fondi comuni solo coloro che saranno in grado di compartecipare con le proprie risorse; se continuiamo a tagliare non saremo tra questi, e ciò vorrebbe dire perdere capacità professionali che per ora sono di assoluto livello”.

IL RISCHIO MAGGIORE

Il rischio è privarsi di una nicchia di grande valore: “Abbiamo competenze eccezionali, di tecnici e ingegneri, che non servono per fare la guerra ma piuttosto per la tutela dei nostri interessi; sono al servizio del Paese”. Si tratta di un comparto da valorizzare “senza vergogna, come avviene in qualsiasi altro Stato del mondo, in cui l’industria ha sempre alle spalle il Parlamento e il governo”. In Francia, “fanno articoli a otto colonne quanto un’azienda del settore vince gare internazionali; noi invece ci vergogniamo. In contro tendenza, io sono fiero di rappresentare un comparto d’eccellenza, fatto di tante imprese che concorrono agli interessi del Paese. Non dobbiamo dimenticarci – ha concluso Festucci – che le nostra Forze armate e la nostra industria della difesa rappresentato un vero e proprio orgoglio nazionale”.

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