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Mancano meno di due settimane alla Conferenza internazionale sulla Libia convocata dal governo Conte a Palermo per il 12-13 novembre. Molte, troppe le incognite sull’evento che, almeno nelle intenzioni, deve mettere una pietra sulla guerra civile e ridare all’Italia il ruolo di pivot che ha sempre avuto nella regione. Il successo è appeso a un filo. Di blitz e passerelle ce ne sono state tante in questi anni, tutte finite con una stretta di mano e poco più. Lo sa bene Franco Frattini, che oggi presiede la Sioi (Società italiana per l’organizzazione internazionale) ma pochi anni fa ha dovuto gestire da ministro degli Esteri la drammatica transizione della Libia dal regime del colonnello Gheddafi al caos dei bombardamenti e delle lotte tribali. A giugno l’ex Commissario europeo ha incontrato l’amico Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri russo. È stata occasione per parlare anche di Libia. A Formiche.net Frattini confida dubbi e aspettative dei russi sulla conferenza siciliana. E fa un inventario puntuale degli errori da non commettere.

Franco Frattini, cosa può trasformare la conferenza di Palermo in un successo?

Credo che siano tre gli obiettivi da porsi. Punto primo, che tutte le fazioni libiche, compresi i gruppi tribali, si impegnino insieme per combattere il terrorismo e sottrarre al controllo dei trafficanti di esseri umani le rotte migratorie. Due, permettere al Paese di riavviare a pieno regime l’estrazione del petrolio. In questi anni la contrazione della produzione ha peggiorato le vite dei cittadini libici, che con Gheddafi erano abituati a non pagare i libri di scuola, alla sanità gratuita e ai prezzi stracciati della benzina. Guai se qualcuno dovesse pensare oggi: “Quando c’era Gheddafi si stava meglio”.

Come si può evitare?

Seguendo l’esempio del generale Haftar, che quando ha preso il controllo dei pozzi di estrazione ha avuto la saggezza di coinvolgere la Noc (National Oil Corporation, ndr).

E il terzo obiettivo?

Porre le basi per un vero governo di unità nazionale in cui Tobruk e Tripoli si riconoscano a vicenda, ma soprattutto in cui siano coinvolte anche le altre parti contraenti lasciate ai margini in questi anni, come i Tuareg o le tribù del Fezzan.

C’è chi teme che a Palermo vada in scena l’ennesima passerella. Per dirla con le parole di Conte, che si tratti di una conferenza sulla Libia e non per la Libia…

È un rischio. Molto dipenderà dalla capacità del governo italiano di impegnare i suoi interlocutori, soprattutto Haftar e Al Sarraj, al rispetto degli accordi. In passato è stato commesso l’errore, soprattutto con la Francia di Macron, di organizzare incontri-passerella in cui nessuno veniva chiamato ad assumersi le sue responsabilità. Tornati all’Eliseo gli alti ufficiali francesi non cambiavano di una virgola la loro opinione.

Quali errori deve evitare il governo gialloverde?

Non limitarsi ai memoranda of understanding, servono condizioni precise da far rispettare alle parti coinvolte. Al tempo stesso non bisogna dare l’impressione di voler fare della Libia un protettorato, limitandosi a dare ai libici una pacca sulla spalla e indicare una data per le prossime elezioni. Dobbiamo chiederci cosa possiamo fare noi per loro, non viceversa.

Il generale Haftar ha confermato la sua partecipazione, e da Tobruk fanno sapere di accogliere con favore un ritorno dell’ambasciatore Perrone. Sono segnali incoraggianti?

Assolutamente, Haftar ha un ruolo che nessuno può cancellare e la distensione con il governo italiano è una buona notizia. Conosco bene l’ambasciatore Perrone che è un eccellente diplomatico, ma non credo che il generale ce l’avesse con lui. Penso piuttosto che intendesse esprimere la sua approvazione per il cambio di policy italiana, dopo anni in cui lo Stivale, sbagliando, ha guardato esclusivamente a Tripoli.

I francesi sembrano aver fatto un passo indietro. È così?

Fin dai tempi di De Gaulle la Francia non ha amici ma interessi. Oggi l’interesse dei francesi è rimanere seduti al tavolo. Hanno capito che da soli non ce la fanno e stanno riconoscendo, più per convenienza che per amicizia, la leadership italiana in Libia.

Prima dell’estate ha avuto un incontro privato con il ministro degli Esteri russo Lavrov. Quali sono le aspettative dei russi su questa conferenza?

Lavrov mi ha confermato quello che già immaginavo. Mosca spera che l’Italia giochi un ruolo di pacificatore, si fida di noi ed è pronta a darci una mano. Non scordiamo che i russi sono i primi a guadagnare dalla stabilità della Libia. Nel silenzio il governo russo sta lavorando, penso ad esempio all’accordo fra Rosneft e Noc per i prossimi 15 anni di collaborazione nel settore energetico. E poi i russi hanno un legame strettissimo con il presidente egiziano Al Sisi, che è l’unico che dispone di una leva su Haftar. Se, come sento, a Palermo arriverà il primo ministro russo Medvedev per l’Italia la conferenza sarà un successo.

A Washington Trump e Conte avevano annunciato una cabina di regia Italia-Usa per la Libia. La conferenza di Palermo può essere occasione di una nuova Pratica di Mare?

I tempi non sono maturi, tanto più ora che Trump vede procedere l’inchiesta del procuratore Mueller sul caso Russiagate. È vero però che l’Italia può giocare la carta degli eccellenti rapporti con Mosca e Washington per favorire una stretta cooperazione fra le parti, che di fatto è già in atto. In Libia come in Siria c’è un filo diretto fra i vertici militari russi e americani per coordinare i bombardamenti e le operazioni anti-terrorismo.

frattini

Conferenza di Palermo, successo o passerella? Parla Franco Frattini

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