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La sondaggistica ordinaria trasmette agli italiani quasi quotidianamente il costante avanzare elettorale dell’antica Lega Nord, oggi guidata da Salvini, al punto che se continua così alle prossime elezioni i lumbard raggiungeranno il 90% dei consensi. I padani, dopo lo scrutinio del 4 marzo, epoca dell’ultima competizione politica, erano al 17% e oggi già sono arrivati al 32%, procedendo di questo passo in Italia non ci saranno più forze politiche parlamentari. La Lega sarà maggioranza e opposizione nello stesso tempo. Chi ha però senno e guarda con serietà e sobrietà alla politica come condizione fondamentale della vita democratica del Paese assegna poca importanza a questo preventivo sistema virtuale di valutazione del voto degli italiani, soprattutto per quanto attiene alla Lega Nord di Bossi, Maroni, Borghezio, Salvini, partito localistico, antieuropeista, antimeridionalista, che coltiva tuttora disegni autonomisti poco lontani da quelli secessionisti. Non esistono documenti ufficiali che deliberano il cambio d’identità del partito. Lo statuto adottato è sempre quello della Lega di Bossi. Salvini allo stato è il capopartito pro-tempore: sin dal 1993 è consigliere comunale a Milano, attivamente e costantemente presente nell’ inner circle di Bossi, esponente apprezzato da iscritti e elettori leghisti per la sua fedeltà alle idee del partito di Alberto da Giussano.

Un rapido esercizio di memoria porta agli aEnni della lunga esperienza di governo del quadrumvirato Berlusconi, Bossi, Fini, Casini, caratterizzata oltre che da leggi ad personam, da provvedimenti governativi dispendiosi e devastanti, basti pensare alla legge Bossi-Fini sull’immigrazione, non solo, ma anche a provvedimenti fiscali che hanno condotto il Paese in un vicolo cieco, creando tra gli italiani una spirale di paura e preoccupazione a causa di un carico fiscale intollerabile, di inconcludenti e costosi programmi federalisti, di elusione e di evasione fiscale, di inosservanza diffusa delle regole, di trasgressione di norme nazionali ed europee (le famose multe per le quote latte non pagate), di trasferimenti di sedi ministeriali da Roma in Lombardia mentre l’Italia viveva drammatici momenti che a Bossi ieri, oggi a Salvini, poco interessavano perché il loro obiettivo era rastrellare voti per legittimare la padania. È il tempo della lotta contro gli immigrati, ritenuti dal Carroccio sgraditi e pericolosi intrusi. La Lega Nord nel 2011, con l’avvento di Mario Monti a Palazzo Chigi, avendo annusato che c’erano da approvare provvedimenti lacrime e sangue, che il tempo delle vacche grasse era finito, ritenne giusto sfilarsi dalle responsabilità di governo e lasciò agli altri l’incombenza di varare norme impopolari. E quando combini cinismo e codardia il gioco è fatto.

Ha sempre ragione il Manzoni dei Promessi Sposi, parlando di Don Abbondio: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. Fin troppo facile scappare ogni volta che c’è da affrontare il disagio popolare. Fin troppo comodo ripresentarsi quando c’è da raccogliere il frutto del malcontento dei cittadini e fare festa, per i voti ricevuti, perseguendo senza vergogna la strada del tanto peggio tanto meglio. È stata sempre la linea della Lega sin dal 1994: Bossi, Maroni o Salvini.

L’interesse nazionale non appartiene all’impegno politico dei leghisti, non a caso più volte hanno dato sfogo a chiari sentimenti antimeridionalisti, addirittura nei confronti dell’ex capo dello Stato Napolitano. Partito il nuovo corso guidato da Salvini ci si trova dentro una crisi di dimensioni inimmaginabili, e non avendo le capacità e le competenze per fronteggiarla, si cerca di usare l’ombrello per ripararsi dal tragico alluvione. La taser, la sceneggiata nei confronti degli immigrati della nave Diciotti, il fingere di attaccare gli organi di gestione dell’UE sono solo pannicelli caldi, servono a fare immagine, a dare la sensazione che si sta muovendo chissà quale corazzata per ristabilire ordine, disciplina, legalità, moralità. Comportamenti farseschi.

La Lega e Salvini purtroppo non sono capaci di uscire fuori dalle contraddizioni di un partito vecchio, inadeguato non solo nel dare risposte, ma anche nel cogliere i veri problemi del Paese, quelli della gente comune, che non sono la pretesa paura per lo straniero, bisogno di sicurezza, i localismi o le autonomie.

Gli italiani aspettano di risolvere questioni molto più urgenti, che sono costretti a vivere ogni giorno nelle proprie case: la condizione economica, il lavoro, il declino, i giovani, la perdita di potere d’acquisto dei loro stipendi, le tasse. Problemi non certo dell’anno scorso che al Sud, dove Salvini è arrivato per rastrellare voti nuovi e freschi sono ancora più sentiti. Il capo del Carroccio, i leghisti che sono stati al potere più o meno per oltre un decennio dov’erano? Si cerca di far dimenticare di aver governato in epoca decisiva per lo sviluppo della nostra Italia. Le responsabilità di quella stagione fallimentare non sono solo di Berlusconi e di Forza Italia, e Salvini lo sa bene, anche se i suoi pretoriani lo seguono ineffabili.

bossi,

Salvini, i sondaggi e la Lega. Un rapido esercizio di memoria

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