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Si dice che si possa votare in tanti modi. Quello più usuale è con le mani, mettendo la scheda nell’urna elettorale. Ma già in un sistema federale si può votare con i piedi: trasferendo la propria residenza nello Stato regionale che si vuole: per motivi vari, ma soprattutto per avere un carico fiscale più ridotto o una maggiore dotazione di beni pubblici. Il ragionamento di tanti immigrati. Oggi si scopre che si può votare, anche in un altro modo: vendendo azioni o titoli di Stato di quel Paese che sembra avviato lungo una china irreversibile. Purtroppo il caso dell’Italia.

Vari gli elementi che corroborano questa tesi. In meno di un mese la borsa ha perso circa il 13 per cento. Le grandi banche come Unicredit ed Intesa, l’architrave del sistema finanziario italiano, quasi il 25 per cento. Dopo le ulteriori perdite dei mesi passati, possono essere scalate a prezzi di realizzo. Degli spread meglio non parlarne: un’ascesa continua, con strappi verso l’alto che si stratificano, costruendo la base per i successivi aumenti. Quota 341, di poco inferiore alla vertigine greca.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, fa quel che può per rassicurare. Con quella “faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così” della bella canzone del suo omonimo (Paolo Conte) ripete il mantra dei “fondamentali che sono a posto”. Ed, in effetti, almeno in parte, ha ragione. Lo testimonia il forte avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Quei 50 miliardi circa riflettono la voglia di fare di una parte, seppure minoritaria, dell’Italia. Ma così dicendo, il presidente del Consiglio non si rende conto che si sta dando la zappa sopra i piedi. A quell’avanzo, dovuto soprattutto al surplus commerciale, si contrappone un deficit del Target 2 (debiti ed fuoriuscita di capitali) che già lo scorso giugno aveva superato i 480 miliardi di euro.

Se l’economia reale ancora tira, ma i capitali fuggono all’estero ci sarà pure una ragione. Ed il fatto che il presidente del Consiglio non si ponga nemmeno il problema la dice lunga sulle capacità intrinseche di questo governo. Al quale non si richiedono capacità tecniche particolari. Meglio ovviamente se ci fossero, ma almeno una capacità di ascolto. Se certi argomenti risultano particolarmente ostici, si chiami a consulto il Governatore della Banca d’Italia o, se non dovesse bastare, il presidente della Bce. Con un’avvertenza, tuttavia, necessaria: queste persone vanno trattate con rispetto e non continuamente strattonate, chiedendo loro di candidarsi per farsi eleggere dal popolo.

Questa – la mancanza di ogni bon ton che spesso sfiora la villania – è forse la pecca peggiore di questo governo. Frutto di ardori giovanili, che dovrebbero trovare un diverso sfogo, non ci si rende conto che, agendo in questo modo, si creano, inutilmente, schiere di nemici. E che gli stessi potenziali amici, lo si è visto chiaramente con il premier austriaco, alla fine, di fronte ad una più estesa levata di scudi, non fanno altro, che tirarsi indietro.
Le frasi ad effetto, tipo quelle rivolte a Juncker, sulla fine imminente della sua carriera politica, hanno avuto l’effetto ch’era prevedibile. Se qualcuno doveva muovere un dito a favore del Bel Paese, si è invece risparmiato la fatica.

L’altra illusione da scrollarsi di dosso è il mito del “too big to fail”. L’idea del muoia Sansone con tutti i filistei. L’eventuale uscita dell’Italia, non dall’euro (non si può) ma dall’Europa, non sarà la fine della moneta unica. L’euro continuerà a vivere come moneta di riferimento di coloro che resteranno. Vi sarà ovviamente qualche piccolo scossone di assestamento. Ma nulla di più. L’Unione ha potuto perdere la Gran Bretagna, rinunciando ad avere a disposizione una grande infrastruttura finanziaria, come quella della City, ed una capacità militare che non è quella degli altri partner europei, figuriamoci se possa accettare una sorta di ricatto all’insegna del “faccio come mi pare”. È quindi bene che sovranisti e populisti ne siano consapevoli. Da qualche giorno la posta della partita è aumentata. Per giocarla bisogna avere le carte in mano. E mettere da parte l’idea balzana che sia ancora possibile ricorrere al bluff.

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