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Tutto sommato Di Maio e Salvini hanno fatto la stessa cosa nello stesso momento: una mossa di campagna elettorale. Il primo tuona contro un passaggio del decreto fiscale, elevando a complotto cioè che complotto non è (poiché al massimo si tratta di dissenso su uno dei tanti aspetti del testo che vedono Lega e M5S su fronti opposti).

Il secondo replica con un ragionamento consegnato a Carmelo Lo Papa (Repubblica) in cui prefigura un suo impegno diretto alle elezioni europee, forse persino nella veste di candidato alla guida della Ue per il fronte sovranista.

Viene così a galla il vero patto che lega i due protagonisti della politica italiana. Patto che vale un anno (cioè il tempo che separa la primavera 2018 da quella del 2019, momento in cui si apriranno le urne per “cambiare l’Europa”) e che prevede di valutare a quel punto lo stato dell’arte e le condizioni necessarie per proseguire l’esperienza comune di governo.

È infatti ben evidente il vasto solco che si va scavando tra i due partiti/movimenti, di cui i capannelli (sempre più raramente misti) in Transatlantico sono plastica espressione.

Per capire meglio però cosa sta accadendo occorre riavvolgere il nastro di qualche ora, osservando con cura le mosse dei protagonisti. Di Maio ha costruito a tavolino la “bomba” esplosa ieri a Porta a Porta, poiché ha ragionato con il suo staff per un giorno intero sul da farsi.

Alla fine sceglie non solo la via più eclatante (finendo anche per andare un po’ “fuori pista” come capita in Formula 1, tanto è vero che si becca un rimbrotto del Quirinale), ma sopratutto sceglie la strada meno gradita al suo alleato politico, perché stavolta non si limita ad attaccare i tecnici “infedeli” del Mef, ma punta dritto alla Lega ed al suo principale uomo di raccordo governativo, cioè Giorgetti, essendo chiaro a tutti che il testo della manovra va al Colle da Palazzo Chigi e non da altri luoghi.

Salvini replica parlando dalla Russia (elemento essenziale della partita a scacchi in corso in queste ore) e lo fa glissando sui temi cari a Di Maio ma rilanciando su un fronte tutto nuovo, quello di un suo impegno sovranazionale nel voto di maggio.

Impegno che non soltanto ne limiterebbe il tempo a disposizione per gli affari di governo italiani ma che, soprattutto, lo porterebbe a spingere a tutta forza la sua macchina elettorale, nella quale avrebbe come primo rivale sul campo proprio l’alleato di governo (per l’Europa si vota in modo proporzionale, ognuno va a caccia dei propri voti).
Ecco allora la semplice verità che emerge da queste ore: la stagione “governativa” di M5S e Lega è già finita ed è durata 140 giorni.

Ora ne abbiamo davanti 190 di campagna elettorale. Nel frattempo c’è una manovra economica da chiudere, ma ormai è già diventato un dettaglio.

La manovra è già archiviata. È tempo di campagna elettorale

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