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I gravi scontri in corso a Tripoli dopo l’attacco di Tarhuna alle milizie di Serraj hanno motivazioni ancora non chiare. Tarhuna sostiene che vuole liberare Tripoli dalla corruzione e dall’abuso delle milizie che, incautamente istituzionalizzate da Serraj, spadroneggiano nella città senza che il governo di Accordo Nazionale abbia su di esse alcuna reale influenza, e così arrivare a sollevare la popolazione dall’oppressione e dalla miseria in cui l’abuso delle milizie l’ha gettata. Il sospetto, autorizzato dalle condizioni generali del paese, è che voglia sostituire il proprio abuso a quello delle milizie rivali. Già da tempo gli analisti registrano una pressione delle milizie via via estromesse da Tripoli (da Zintan nel 2014 a Tarhuna e agli estremisti di Misurata nell’autunno scorso) per sostituirsi all’oligopolio di milizie che oggi prevale a Tripoli e beneficiare esse delle occasioni di guadagno che offre la corruzione.

Come che sia, sarebbe un errore vedere negli eventi in corso una pura e semplice guerra di bande criminali e mafiose. Criminalità e mafia hanno larga parte in questi eventi ma sono intrecciati con obbiettivi politici e non solo allo scopo di strumentalizzarli. Occorre guardare agli sviluppi in atto nel contesto del degrado politico complessivo che la Libia sta subendo.

Lungo la sua strada, il piano d’azione dell’Onu ha perso il processo di dialogo e ricomposizione politica che, attraverso la Conferenza Nazionale e il referendum sulla Costituzione, doveva fondare un forte consenso costituzionale e una ritrovata coesione sociale. Del piano sono rimaste le nude elezioni. L’iniziativa di Macron punta ugualmente a tenere le elezioni ma ha sostituito al processo previsto dall’Onu un traballante accordo di vertice fra i poteri bene o male in essere che l’azione internazionale riconosce (Serraj, Haftar la camera di Tobruk e l’Alto Consiglio di Tripoli). Molto giustamente Libya Analysis sottolinea in un suo commento che il dibattito oggi in Libia è “over whether fresh election should be held before the referendum to ensure that those in power have the legitimacy to oversee the process, or whether to hold the referendum before elections to ensure that the legitimacy of those elected is solid and widely accepted”.

In effetti, l’iniziativa di Macron e le elezioni che essa prevede sono da molti percepite in Libia come uno strumento che esclude legittimi (e meno legittimi) protagonisti e prepara una spartizione di potere fra quelli che hanno partecipato alla conferenza di Parigi del 29 maggio e la presidenza della repubblica per il generale Haftar. Questa percezione è alla base della forte opposizione che la realizzazione delle elezioni sta incontrando ed è destinata a risvegliare i conflitti che stanno alla radici della crisi libica. L’attacco di Tarhuna a Tripoli si muove in questa logica, anche se oggi è prematuro sapere se riflette manovre di Haftar o prepara alleanze contro Haftar.

L’Italia ha molti motivi per preoccuparsi di questa prospettiva. Il governo italiano ha già sottolineato una sua posizione – una volta tanto dalla parte degli analisti – che è oggi, almeno in Europa, piuttosto a sé stante: a Macron che chiedeva appoggio per la realizzazione del suo piano, il governo italiano ha risposto che il problema non è tanto di fare le elezioni quanto di preparare un consenso costituzionale che porti a elezioni credibili. Su questa base l’Italia sta preparando, secondo quanto promesso dal presidente Conte durante la sua visita a Washington del 30 luglio scorso, una conferenza – che dovrebbe svolgersi a Palermo – alla quale saranno invitate per trovare un’intesa tutte le parti libiche, quelle che si sono viste a Parigi e, soprattutto, quelle che a Parigi non c’erano. È evidente che la crisi aperta dall’attacco di Tarhuna a Tripoli e il suo significato rafforzano le motivazioni politiche della conferenza italiana ma ne rendono anche assai più difficile la realizzazione.

Non solo la preparazione della conferenza è in salita a causa della crisi in atto, ma essa richiede anche una proposta. In questo rispetto la conferenza potrebbe offrire all’Italia la possibilità di rilanciare e riproporre quel processo di coesione e consenso che il piano di Salame non ha potuto o saputo realizzare. E’ necessario ristudiarne accuratamente le condizioni. Questa piattaforma avrà il sostengo dell’Onu e probabilmente degli Stati Uniti. Potrà avere consensi anche in Europa, in particolare dalla Germania, ma per questo deve avere luogo sulla base di un consenso europeo e richiede quindi uno sforzo cooperativo verso la Francia e non la canea antifrancese che invece tende a prevalere.

Il successo della conferenza italiana sulla Libia passa dalla cooperazione con la Francia

Di Roberto Aliboni

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