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Dopo giorni di notizie non confermate, annunci e smentite, il capitolo sui possibili tagli alla Difesa italiana nella prossima manovra finanziaria si è arricchito di un nuovo colpo di scena. Tra venerdì e sabato scorsi, per due volte, il vice premier Luigi Di Maio ha ringraziato il ministro della Difesa Elisabetta Trenta “per aver trovato oltre mezzo miliardo di spesa militare da tagliare. Ed è solo l’inizio”. Così, ha aggiunto, “finanzieremo molte delle cose che vi ho detto – ha aggiunto – anche tagliando un po’ della spesa militare inutile”. Poi (come siamo stati abituati anche da altre recenti uscite), una rassicurazione: “Ci dobbiamo difendere, dobbiamo avere le tecnologie per creare una nostra struttura di difesa sempre più forte, ma non possiamo dire che tutti i soldi che si spendono sono tutti necessari”. Lo stesso doppio concetto è stato poi riaffermato dalla Trenta, che ha ribadito lo stop al “Pentagono italiano”, ma anche l’attenzione a ciò che “è strategico per la crescita” e “all’ammodernamento delle Forze armate”.

QUALE UTILITÀ?

Sul tema, il vice premier era già intervenuto in precedenza, e anche in quel caso aveva fatto riferimento alle “spese militari inutili”, accendendo le preoccupazioni di comparto già vittima di anni di budget risicati. Il punto, evidenziano gli esperti, è che non si comprende bene quale sia il criterio di giudizio sull’utilità dei programmi. Partire già con l’affermazione “spese militari inutili” sembrerebbe nascondere una posizione ideologica, come se si avesse già deciso di tagliare a prescindere da una valutazione oggettiva, sempre benvenuta e legittima da parte del governo. Per la difesa, infatti, programmi pluriennali sono sempre scelti sulla base di analisi attente e dettagliate, eseguite da tecnici delle Forze armate che individuano i sistemi migliori sulla base delle esigenze operative, a partire dalla sicurezza della nazione. A ciò, si aggiungono (ma solo dopo) le valutazioni di carattere economico, relative all’impatto occupazionale e tecnologico, considerando che il settore è per sua natura votato all’innovazione, con un effetto moltiplicativo su Pil (e sul gettito fiscale) molto alto. Infine, c’è da considerare il peso in termini di politica internazionale. I grandi programmi sono spesso frutto di accordi con altri Paesi, di impegni a lungo termine su cui si gioca buona parte della credibilità di uno Stato. Tutti questi elementi vanno poi applicati ai singoli programmi.

IL CAMM-ER…

Oltre al Pentagono italiano (su cui il ministro della Difesa ha messo un punto sabato scorso), i dettagli mancano proprio sui programmi che sarebbero coinvolti dal taglio. Stando alle indiscrezioni, comunque, la sforbiciata potrebbe riguardare il sistema per la difesa missilistica Camm-Er, su cui pare esserci stato a settembre uno strappo tra Di Maio e Trenta. A detta degli esperti, il sistema pare tutto fuorché inutile. Si tratta infatti dei missili già scelti da Esercito e Aeronautica, dopo attente valutazioni, per sostituire gli Aspide, operativi da oltre quarant’anni con “gravi problematiche di obsolescenza”. Questi ultimi, sono utilizzati per la difesa dalle varie minacce dal cielo (droni, missili, velivoli, ecc) dei soldati nei teatri internazionali, ma anche per la protezione di basi e aeroporti e per la copertura di grandi eventi sul territorio nazionale. Dal 2021 non saranno più in servizio. A quel punto, o ci saranno dei sostituti, oppure ci ritroveremo senza difesa aerea a corto e medio raggio, con intuitive conseguenze sul fronte della sicurezza nazionale.

…E I SUOI NUMERI

Tra l’altro, a guardare i costi, il programma vale 545 milioni di euro, ma da spalmare fino al 2031. Per il 2018, infatti, i milioni sarebbero 13, poi 25 per l’anno prossimo. Si tratta della Fase 1 (in tutto 95 milioni fino al 2021), per lo sviluppo del missile e la sua integrazione nella difesa nazionale, già contrattualizzata (con investimenti fatti dall’azienda costruttrice) ma in attesa dello sblocco dalle competenti commissioni parlamentari. Inoltre, considerando l’aspetto della credibilità internazionale, il programma tocca i rapporti con Londra. Il via libera della Fase 1 andrebbe infatti a sbloccare anche l’accordo (già definito) tra il ministero della Difesa e l’omologo del Regno Unito, trasformando il programma in bi-nazionale e offrendo ulteriori opportunità di crescita occupazionale in Italia.

I DRONI MILITARI…

Lo stesso ragionamento si può applicare agli altri programmi tirati in ballo negli ultimi giorni. Tra questi, ci sono i droni militati P.2HH di Piaggio Aerospace, realizzati insieme a Leonardo con una governance che dovrebbe essere paritaria. Il ministro Trenta ha già espresso “la piena approvazione” per lo schema di decreto ministeriale, ma questo è ancora fermo nelle commissioni. Il programma prevede l’acquisizione di dieci sistemi (ciascuno costituito da due velivoli, una stazione di comando e controllo e il relativo supporto logistico integrato) e vale 766 milioni di euro, da spalmare anche in questo caso fino al 2032. Si tratta di aeromobili a pilotaggio remoto di classe Male (Medium altitude long endurance) destinati a potenziare le capacità di intelligence, sorveglianza e riconoscimento delle Forze armate italiane.

…PER UN NUOVO CONCETTO DI SUPERIORITÀ AEREA

“La potenzialità di questo mezzo aereo sta nella lunga permanenza in volo, e nella possibilità di osservare da quote elevate quello che succede sul terreno”, ha spiegato il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Enzo Vecciarelli. La necessità è emersa poiché “i tempi sono molto cambiati dal confronto bipolare, a anche l’utilizzo del mezzo aereo ha subito evoluzioni; siamo passati dall’uso significativo della forza all’esigenza di informazione”, con l’evoluzione del concetto di air power in “superiorità aerea”. Da qui, ha aggiunto, il tentativo di “affermare una superiorità informativa per arrivare quanto prima a una superiorità decisionale”. Considerando l’impatto economico, il programma genererebbe un occupazione di oltre 400 persone medie all’anno (fino a 1.300 considerando l’intera filiera). Oltre a Piaggio Aerospace e alla società di piazza Montegrappa, parteciperebbe infatti anche altre aziende italiane, tra cui Umbra Group e Magnaghi Aeronautica. Sul fronte internazionale, c’è da considerare che i costi di sviluppo verrebbero sostenuti per metà dagli Emirati Arabi, Paese del fondo Mubadala che di Piaggio Aerospace ha la proprietà.

IL PROGRAMMA F-35…

Il fronte internazionale ha un peso notevole sul programma F-35, su cui il M5S conserva un’opposizione ideologica piuttosto storica. Anche qui, l’utilità è stata ribadita a più riprese delle Forze armate, che hanno scelto il velivolo di quinta generazione per il futuro del potere aereo italiano. A ribadirlo, recentemente, i due capi di Stato maggiore di Aeronautica e Marina intervenuti di fronte alle commissioni Difesa di Senato e Camera, rispettivamente il generale Vecciarelli e l’ammiraglio Valter Girardelli. Se il primo ha lamentato “di non aver mai avuto la possibilità seria di illustrare analiticamente e razionalmente cosa significa avere o non avere aeroplani di quinta generazione, cosa fanno rispetto agli altri e il rapporto costo-efficacia”, il secondo ha definito il programma “imprescindibile e di fondamentale importanza, per poter esprimere in pieno le capacità strategiche e operative della portaerei nave Cavour”.

…TRA NUMERI E CREDIBILITÀ INTERNAZIONALE

L’Italia si è impegnata ad acquistare 90 velivoli, numero che ha permesso di ricevere in cambio una quota del lavoro sul caccia, su cui ha però già influito in passato la riduzione rispetto ai 131 inizialmente previsti. Ad ogni modo, la partecipazione italiana si concentrata nella linea di assemblaggio e verifica finale di Cameri, in provincia di Novara, un sito all’avanguardia che assemblea i velivoli italiani e olandesi e costruisce centinaia di assetti alari, gestito da Leonardo con il supporto tecnologico di Lockheed Martin. Sono oltre 900 i posti di lavoro creati finora nell’area, una cifra che potrebbe arrivare a otre seimila in tutta Italia quando il programma sarà a pieno regime (numeri ricordati di recente dall’ambasciatore Usa in Italia Lewis Eisenberg). A ciò si aggiunge il fattore “credibilità internazionale”, soprattutto nei confronti di un partner di peso come gli Stati Uniti (non a caso Trump ha parlato di F-35 con Conte nell’incontro di fine luglio). “Decidere di tagliare manderebbe un messaggio negativo, e significherebbe non vedere più un centesimo di lavoro dagli Usa”, ha chiosato Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad. “Viviamo in questa fase storica e dobbiamo prenderne atto – gli ha fatto eco il generale Vincenzo Camporini – ma è ovvio che bisogna anche ammettere l’ipotesi per cui altri Paesi, a un certo punto, non si fideranno più di noi”.

GLI ELICOTTERO MULTIRUOLO NH90

Lo stesso può dirsi di un altro programma su cui, stando alle indiscrezioni, potrebbe abbattersi l’ascia dei tagli: l’elicottero multiruolo l’NH90. Si tratta del maggior programma elicotteristico europeo, a cui Leonardo partecipa (con una quota pari al 32%) in un consorzio con il gruppo franco-tedesco Airbus e l’olandese Fokker. La macchina è frutto dei requisiti operativi comunemente espressi in ambito Nato da Italia, Francia, Germania, Olanda, e Belgio, ed è stata scelta nelle due versioni (trasporto tattico e per navi) dall’Esercito e dalla Marina italiana. Per il biennio 2018-2019, il governo avrebbe in mente una sospensione o dilazione del programma, che potrebbe valere circa 370 milioni di euro.

nato

Quali spese inutili? Il punto sui programmi per la difesa

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