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A un mese dalla Conferenza di Palermo e dopo tutte le iniziative di apertura al dialogo intraprese nel corso di questi ultimi mesi dal governo italiano alla strada di crescente ottimismo per la riuscita dell’incontro internazionale, sulla Libia si aggiunge un elemento di possibile incertezza. La Marina libica della Cirenaica, che risponde agli ordini del generale Khalifa Haftar, ha sequestrato nel corso delle ultime ore, oltre ai due pescherecci siciliani che navigavano a largo delle coste libiche, nei dintorni di Derna, anche un’imbarcazione egiziana, tutti con l’accusa di aver violato una zona interdetta alla pesca.

IL SEQUESTRO

Intorno alle 20 di martedì sera, il Matteo Mazzarrino (con circa sette uomini di equipaggio) e l’Afrodite Pesca (sei uomini a bordo), si sarebbero trovati a circa 30 miglia dalla costa libica, all’interno della cosiddetta Zona economica esclusiva (Zee), che la Libia ha stabilito nel 2005, estendendo le proprie acque nazionali a 62 miglia oltre le 12 convenzionali. Secondo le dichiarazioni del Distretto di pesca, in sostanza, i militari comandati dal generale Haftar, avrebbero fermato le imbarcazioni di bandiera italiana, sparando diversi colpi di mitra, fortunatamente senza conseguenze mortali per gli uomini a bordo.

Ora, una volta raggiunto il porto di Ras al Hilal, a est di Derna, l’equipaggio dei pescherecci italiani, composto anche da tunisini, si trova ora a dover affrontare un interrogatorio e a vedere aperta un’inchiesta a suo carico. La notizia, che non racchiude in sé una vera e propria novità, considerando i precedenti, conferisce, però un alone di disorientamento, o quantomeno di dubbio, circa le effettive intenzioni del generale libico. A maggior ragione se proprio ieri il vice ministro degli Esteri Emanuela Del Re si era recata a Bengasi per invitare ufficialmente Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti e lo stesso Haftar, alla conferenza del 12 e 13 novembre.

I DUBBI DEL CASO E LA POSIZIONE ITALIANA

Un caso che rischia quindi di trasformarsi in una possibile crisi diplomatica e che isolato dal contesto che lo costituisce, come riferiscono fonti libiche alla stampa, “diventerebbe un atto che ha anche una chiara valenza politica, un atto di forza per ottenere qualcosa in cambio”, soprattutto avvenendo in un arco temporale così strettamente vicino alla riunione di Palermo. E se consideriamo proprio l’interesse di Haftar per l’appuntamento siciliano, insieme al solido sistema di appoggio che ci arriva dagli Usa, possiamo immaginare che la contropartita risulti alta.

A questo proposito, ieri sera Matteo Salvini ha incontrato l’ambasciatore americano Lewis Eisenberg, il quale ha ribadito la solidità dei rapporti degli Usa con l’Italia, in particolar modo con un focus sulla cooperazione nella lotta al terrorismo e al supporto statunitense agli sforzi per la stabilità della Libia. D’altronde già nel corso dell’incontro di luglio del premier Giuseppe Conte con il Presidente Donald Trump, quest’ultimo aveva riconosciuto a Roma il ruolo di partner privilegiato nella regione libica. Eisenberg, poi, ha voluto sottolineare l’importanza di rispettare i confini internazionali e di mantenere l’unità dell’Alleanza transatlantica.

L’ACCORDO DI ENI E GLI SCENARI INTERNAZIONALI

Mentre anche i sindaci di Tripoli e Zintan hanno sollevato, durante la visita del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, la necessità di una sola voce europea e internazionale per risolvere il dossier libico, l’azione del generale Haftar assume contorni fumosi, poco chiari ed estremamente imprevedibili.

E, altro tassello che si aggiunge al puzzle: se le mire dell’uomo forte della Cirenaica sono imprescindibili da quelle sul petrolio libico, l’accordo di Eni raggiunto ieri con Bp (British Petroleum), sui circa 54mila chilometri quadrati di on shore e off shore acquisiti dall’azienda italiana nelle vicinanze delle sue installazioni, non fa altro che accrescere la tensione con il generale. D’altra parte, lo stesso ad di Eni, Claudio Descalzi, a margine dell’incontro con Bp, aveva dichiarato come l’accordo concluso in Libia fosse “un’ottima cosa in un momento in cui la Libia è in difficoltà. Quindi investire e fare esplorazione ed essere scelto da una società così importante depone a nostro favore sotto tutti i punti di vista”, aggiungendo di essere “molto soddisfatto”.

Nel frattempo, inoltre, ieri, l’inviato speciale Ghassan Salamè e il suo vice Stephanie Williams, hanno incontrato il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. L’occasione, volta ad un approfondimento sugli sviluppi politici, economici e di sicurezza nella regione libica, ha consentito al capo dell’Unsmil anche di accordarsi sulla sua partecipazione alla riunione degli ambasciatori della Nato. I passi in avanti nel processo di stabilizzazione del Paese, dunque, non si arrestano e, attraverso la conferenza di metà novembre, insieme a una collaborazione unificata delle forze internazionali, il lavoro potrà essere portato a termine con dei risultati tangibili.

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