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Siamo ormai al 1°settembre e si avvicina la data del 15 settembre, scadenza ultima della gestione commissariale del Gruppo Ilva secondo la proroga voluta dal ministro Di Maio alla fine di giugno. La liquidità disponibile per l’esercizio corrente dei vari siti e soprattutto di quello tarantino è in procinto di esaurirsi, con tutte le conseguenze facilmente intuibili. Si impongono dunque decisioni del ministro dello Sviluppo economico che peraltro, a nostro avviso, sarebbe preferibile assumere a livello di intero governo, data la rilevanza di quel gruppo siderurgico per l’economia nazionale e avendo sempre ben presente che lo stabilimento di Taranto è insieme la maggiore acciaieria singola d’Europa e la più grande fabbrica manifatturiera d’Italia.

Avendo minacciato i Sindacati dei metalmeccanici lo sciopero per l’11 settembre in tutti gli stabilimenti dell’Ilva con presidio del ministero, Di Maio ha convocato Arcelor, sindacalisti, commissari e Federmanager per il 5 settembre al suo dicastero. Ma per un incontro che sia risolutivo in quella sede e per un accordo sui problemi occupazionali premono con i Sindacati, le Amministrazioni locali – il capoluogo ionico e la città di Genova, soprattutto – le imprese dell’indotto, i partiti di opposizione e tutti i soggetti economici che a vario titolo sono esposti sulla vicenda, a cominciare da qualche Istituto di credito nazionale che, qualora si definisse finalmente la complessa questione, dovrebbe anche entrare nella cordata Am Investco Italy. Naturalmente il presupposto di ogni possibile ed anzi auspicabile accordo fra Sindacati ed azienda aggiudicataria della gara è che l’esito della stessa venga alla fine confermato dal ministro Di Maio che, pur avendo rilevato criticità sulla scorta dei pareri prima dell’Anac e poi dell’Avvocatura dello Stato, ha affermato pur con qualche oscillazione che in realtà l’aggiudicazione non è annullabile.

Ora, pur non volendo ancora una volta richiamare la condizione di estrema e logorante incertezza in cui vivono i 13.522 addetti che risultavano a carico dell’Amministrazione straordinaria al 30 giugno scorso – cui devono aggiungersi alcune decine di occupati di imprese satelliti, destinate anch’esse ad essere acquisite dalla cordata vincente da cui dovrà uscire per disposizione dell’Unione Europea il Gruppo Marcegaglia – ritengo opportuno invece richiamare l’attenzione dei lettori sull’aspetto su cui forse meno si riflette, costituito dall’atteggiamento di tutti coloro che potrebbero acquistare coils e lamiere dall’Ilva e dal suo sito ionico. Chi infatti continuerebbe ad ordinare una sola tonnellata di materiale temendo (a ragione) che l’impianto non sia poi in grado di fornirla per mancanza di risorse finanziarie necessarie alla gestione ordinaria della produzione ? Pur comprendendo la necessità del riserbo dei Commissari, è fondato ipotizzare che al ministro siano stati comunicati i dati finanziari riguardanti le materie prime già ordinate con commesse solvibili, e gli ordini acquisiti e che si è in grado di soddisfare, al netto ovviamente di stipendi e salari da corrispondere e dei servizi delle aziende dell’indotto da pagare.

Insomma, per le notizie che si leggono sulla stampa e che si apprendono da fonti vicine al dossier – e comunque comunicate in gran parte ed ufficialmente il 1° agosto dai Commissari in udienza al Senato – la situazione complessiva dell’Ilva potrebbe essere alle soglie del default. Ce lo possiamo permettere ? Può permettersi l’economia italiana di perdere il prodotto interno lordo generato dal Gruppo a partire dalla fabbrica di Taranto e passando per i siti di Genova, Novi Ligure, Racconigi, Paderno Dugnano e Marghera ? E l’industria meccanica nazionale può sopportare la perdita nel Paese del primo fornitore di beni intermedi strategici per la competitività di quel comparto ?

Le verifiche compiute dal ministro Di Maio – se pure hanno finito inevitabilmente col protrarre i tempi di definizione dell’intera operazione e se pure duramente criticate da Sindacati e da ex ministro – hanno comunque consentito di approfondire ulteriormente l’intero profilo dell’iter e dell’esito della gara, e possono favorire il raggiungimento di un accordo Azienda-sindacati che – utilizzando (tecnicamente e senza polemiche) quanto proposto anche dall’ex ministro Calenda – conduca le parti non solo a salvaguardare posti di lavoro e prospettive di crescita dell’economia nazionale, ma anche a migliorare drasticamente l’ecosostenibilità della produzione siderurgica nell’area tarantina.

Si decida dunque, si confermi l’aggiudicazione al Gruppo Arcelor, e sia finalmente risolutiva la riunione del 5 settembre, sollecitata con forza da Sindacati e territori con una trattativa che, a nostro avviso, dovrebbe essere non stop per giungere all’accordo da tutti auspicato. E al di là di pur comprensibili polemiche politiche fra maggioranza e opposizione e fra ministro in carica e suo predecessore, si punti – come ha ribadito per l’ennesima volta anche di recente l’Arcivescovo di Taranto Monsignor Santoro – al perseguimento nel capoluogo ionico come altrove del bene comune, salvaguardando indissolubilmente, lo abbiamo ripetuto tante volte su queste colonne, diritto al lavoro e diritto alla salute di operai, tecnici e dirigenti del Siderurgico e dei cittadini che hanno diritto a respirare aria pulita, come ha ribadito ancora nei giorni scorsi il ministro Di Maio.

Ma se malauguratamente ciò non dovesse accadere, dovremo prepararci a gestire un vero day after, ovvero una delle peggiori catastrofi della storia economica italiana in età repubblicana. Ed ognuno allora dovrà assumersi sino in fondo le proprie responsabilità.

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