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Ieri il dipartimento di Stato americano ha diffuso uno statement del portavoce Robert Palladino per condannare ed esprimere profonda preoccupazione riguardo alla sentenza emessa da un tribunale di Tianjin (distretto a sud di Pechino) contro l’avvocato per i diritti umani Wang Quanzhang. Il governo cinese lo ha giudicato “colpevole di sovversione del potere statale” con una pena di 4 anni di carcere: Wang, un avvocato che ha difeso attivisti politici, vittime di sequestri di terre e membri del gruppo religioso bandito Falun Gong, è stato processato in udienza chiusa il 26 dicembre (la data non è casuale: fa notare il Guardian che le corti cinesi spesso mettono in agenda di trattare i casi politici più delicati durante le festività natalizie, quando diplomatici e media occidentali sono assenti).

Wang in realtà ha ottenuto una pena ridotta rispetto all’accusa, che prevede anche il carcere a vita; dovrebbe essere liberato invece nel 2020, con gli anni passati in custodia preventiva che gli verranno scontati. L’avvocato fa infatti parte dei 250 tra colleghi e attivisti finiti in galera sotto quella che è conosciuta come “repressione 709”, con cui il presidente Xi Jinping aveva voluto colpire il mondo delle difesa/richiesta dei diritti civili in Cina.

L’interessamento americano ha un doppio genere di valore politico. Da una parte conferma il ruolo che il dipartimento di Stato ha sempre avuto sulla tutela dei diritti, posizione non abbandonata con l’America First trumpiano, con il segretario Mike Pompeo che molto spesso ha preso iniziativa su argomenti collegati al tema diritti (di minoranze religiose, gruppi etnici, entità politiche). Ruolo che ha scricchiolato con la linea sghemba presa dalla Casa Bianca sulla difesa del regno saudita nel caso Khashoggi, ma che anche in quel caso non è mancato da altri lati dell’amministrazione e del Congresso.

Il caso Wang non ha avuto la stessa copertura mediatica (spesso politicizzata) di quello che ha coinvolto il giornalista saudita del Washington Post. La Cina è una potenza relativamente nuova, che però riesce a penetrare nei tessuti sociali di certi paesi fino ad arrivare a quello politico: si veda per esempio le pressioni che sta esercitando sulla questione Taiwan tra gli stati con cui ha creato legami di carattere economico-commerciali. Lavoro analogo – richiesta di non ingerenza, quasi di ignorare ciò che accade – lo sta facendo sul tema dei diritti, che è anche uno degli argomenti su cui sta ricevendo pressioni da Washington.

Relazioni con cui “compra” anche certi silenzi: l’Arabia Saudita all’opposto è visto come un universo ambiguo, ricco e per questo considerato odioso, dove la rincorsa allo sviluppo (collegato a qualcosa che può sembrare simile ai diritti che conosciamo) lanciata dall’erede al trono Mohammed bin Salman è vista con scetticismo (e non che non sia giusto, ma spesso è uno scetticismo interessato). E per questo bersagliata.

E qui si apre il secondo dei piani politici dietro alle parole di Palladino. La difesa che la Casa Bianca ha fornito a Riad è frutto di un’alleanza che con l’amministrazione Trump s’è rinvigorita: una situazione che non è stato semplice gestire, ha sollevato molte accuse contro la presidenza e le proteste dell’opposizione e critiche worldwide. All’opposto, negli Stati Uniti dove i due partiti sono divisi su tutto, solo in un punto c’è completa concordanza tra forze politiche, congressisti e amministrazione: contrastare la Cina.

Il suo crescente sviluppo economico globale è considerato (anche) frutto di pratiche scorrette e di un sistema interno che viaggia veloce anche perché scavalca (a volte straccia) prerogative di diritto occidentali che ormai sono diventate standard internazionali (i principi democratici, la concorrenza sul mercato, la tutela del lavoro). La questione Wang serve a Washington per ricordare che la seconda economia del mondo è un luogo buio che non tutela i diritti di chi si oppone alla linea di governo e dove le notizie sulla condanna al carcere di un avvocato considerato un oppositore vengono cancellate dall’attualità e rimosse dalla storia attraverso la censura governativa dei media controllati.

xi jinping, trump dazi Xinjiang

Washington attacca Pechino per la condanna all'avvocato dei diritti Wang

Di Ferruccio Michelin

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