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I negoziati su Brexit, incentrati da mesi sul dibattito sul confine irlandese e sulle future relazioni nel dopo Brexit, dopo il nulla di fatto in occasione della riunione del Consiglio europeo del 18 Ottobre scorso, sono proseguiti ad oltranza fino alla redazione di un testo base di un possibile accordo che in queste ore è in discussione sui due versanti della Manica.

La bozza di accordo, ai sensi dell’art. 50 del Trattato sull’Unione europea che regola il diritto di recesso di uno Stato membro, è basata sul draft agreement già redatto tra le parti in occasione del Consiglio Europeo del marzo scorso in cui era già stata trovata un’intesa su quasi tutti i temi oggetto di discussione, tra cui i diritti di cittadinanza, stabilendo il reciproco mantenimento dei diritti acquisiti, il Brexit Bill, ovvero l’importo che il Regno Unito dovrà ancora versare nelle casse dell’Unione europea per contribuire al Bilancio dell’Unione fino al 2020, e sull’importo che dovrà essere retrocesso in termini di contributi europei dall’Unione europea al Regno Unito, nonché sui meccanismi di gestione delle cause internazionali ancora in corso e delle attività di polizia internazionale.

È stato inoltre definito un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2020, con la previsione, per evitare l’instaurarsi di un hard border al confine irlandese, di una sorta di prosecuzione del periodo di transizione, con l’allineamento dell’Irlanda del Nord ai regolamenti europei, fino a quando non verrà raggiunto un accordo definitivo sulle future relazioni in grado di regolare efficacemente e in maniera definitiva anche la questione del confine irlandese.

Quest’ultima soluzione, vista da alcuni come una soluzione ibrida dai tempi indefiniti che rischierebbe di minare l’integrità del Regno Unito creando disparità tra l’Irlanda del Nord e gli altri Stati, è al momento oggetto di diverse critiche alla premier Theresa May che dopo aver incassato il sostegno a maggioranza del proprio esecutivo ha dovuto fare i conti con le dimissioni di Shailesh Lakhman Vara, ministro per l’Irlanda del Nord, Esther McVey, ministro del Lavoro, e lo stesso ministro alla Brexit Dominique Raab.

Mentre dalla Commissione europea, come evidenziato dalle parole di Michel Barnier e Donald Tusk, si ostenta calma, con la convocazione di un vertice straordinario il 25 novembre per discutere il tema, il vero punto di svolta sarà rappresentato dal voto sull’accordo nel Parlamento britannico previsto per i primi giorni di dicembre.

In quell’occasione la premier May si troverà a dover fronteggiare non solo il dibattito sul merito dell’accordo ma le rivendicazioni incrociate dei sostenitori del Remain che da tempo chiedono un referendum sull’accordo, con l’intento di giungere ad una retromarcia su Brexit tramite una bocciatura referendaria, e i sostenitori della cosiddetta Hard Brexit da sempre poco inclini ad un accordo con l’Ue.

La situazione che si sta delineando lascia aperte tutte le possibilità al momento sul tavolo. L’approvazione dell’accordo da parte del Parlamento britannico così come oggi presentato, la richiesta di alcune modifiche che comporterebbero la prosecuzione delle trattative tra negoziatori britannici e negoziatori europei fino alla stesura di una nuova bozza, il divorzio “no deal”, ma anche l’indizione del referendum sull’accordo o addirittura la sfiducia al governo con l’ipotesi di un ritorno alle urne per le elezioni generali.

Certamente la premier Theresa May e quanti sia nella maggioranza Conservative che in alcuni settori del Labour sono favorevoli all’accordo potranno fare leva sugli effetti negativi dell’attuale situazione di incertezza che ha causato in poche ore una sensibile svalutazione della sterlina e delle performances negative della Borsa in particolare per i titoli bancari.

Inoltre, la principale critica alla bozza oggi in discussione, relativa ai timori che il periodo transitorio si possa protrarre troppo a lungo nel caso non si riesca a raggiungere rapidamente un accordo sulle future relazioni per il post Brexit, potrebbe essere superata considerando che è già da tempo presente sul tavolo dei negoziatori della Commissione europea e del governo britannico  una proposta relativa alla definizione di un Free trade agreement sulla falsariga del Comprehensive economic and trade agreement (Ceta) realizzato tra Unione europea e Canada che potrebbe realizzarsi in tempi relativamente brevi.
I principi contenuti nel Ceta, che regola tra l’altro l’abolizione di dazi doganali tra le parti su oltre il 90 per cento dei beni scambiati con procedure per il reciproco riconoscimento dei certificati di prodotto, l’apertura del mercato dei servizi, il reciproco riconoscimento delle qualificazioni professionali, la partecipazione alle gare di appalto pubbliche, e si propone di favorire gli investimenti tra le parti, potrebbero rappresentare una soluzione equilibrata in grado di garantire la prosecuzione di intense ed efficaci relazioni economiche e commerciali tra i due versanti della manica, pur segnando l’uscita del Regno Unito dal Mercato comune e dall’Unione doganale e permettendo quindi ad entrambe le parti di poter sottoscrivere liberamente ulteriori e distinti accordi commerciali con Paesi terzi.

I prossimi giorni, se non le prossime ore, saranno cruciali per capire quale direzione prenderà il percorso verso Brexit.

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