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“Gli immigrati mediorientali in Italia sono sempre più discriminati”. L’attacco al governo per le sue politiche migratorie non arriva questa volta dalla stampa nazionale più ostile all’esecutivo, e neanche dalle file di quello che resta dell’opposizione, ma dal quotidiano online, con sede a Washington, al-Monitor, che ai non addetti ai lavori forse dirà poco, ma che è ad oggi una delle più autorevoli fonti di informazioni per tutto ciò che concerne il Mediterraneo allargato.

L’articolo in questione, a firma di Justin Salhani, fa presto a individuare il principale responsabile per il nuovo approccio italiano alla migrazione: il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. L’episodio che viene assurto a simbolo del nuovo corso è quello che ha coinvolto Aquarius, la nave dell’ong Sos Mediterranee con a bordo 629 migranti a cui Salvini ha negato lo sbarco sulle coste italiane, costringendola, dopo nove giorni di viaggio nel Mediteranneo, ad attraccare in Spagna.

Viene criticata anche la decisione presa dal governo di riportare in Libia le persone salvate in mare. Come accaduto il 30 Luglio scorso, quando La Asso 28, una nave italiana di supporto a una piattaforma petrolifera, dopo aver soccorso un gommone con 108 persone a bordo, ha seguito le indicazioni della sala operativa di Roma e ha fatto sbarcare i naufraghi nel porto di Tripoli. Sullo sfondo rimane la battaglia condotta da Salvini contro la Ue per far dichiarare la Libia un porto sicuro, così che anche le navi europee e quelle facenti capo alle operazioni Ue possano sbarcare i migranti soccorsi su suolo libico.

L’articolo passa poi all’emergenza razzismo che ha segnato la cronaca italiana delle scorse settimane. “Gli immigrati, specialmente quelli dal mondo arabo e dall’Africa, sono spesso accusati di portare crimine e violenza in Italia…sebbene le statistiche non supportino tale percezione.

Il giorno prima, lo stesso Salvini aveva rilasciato un’intervista all’emittente qatarina Al-Jazeera,dove aveva parlato soprattutto di Libia. Il vicepremier aveva dovuto innanzitutto sgombrare il campo dalle accuse che a più riprese vengono mosse contro l’Italia, accuse che bollano come “neocolonialismo” l’interesse del nostro Paese per il vicino meridionale. Per questo Salvini ha dichiarato che “Il piano dell’Unione europea e dell’Italia per contribuire alla stabilità del sud dellaLibia non ha nulla a che vedere con un intervento militare”, riferendosi alla decisione di inviare una missione tecnica a Ghat, nel sud del Paese, per rafforzare i presidi di frontiera della Libia meridionale. Dello stesso stampo le dichiarazioni per spegnere la querelle venutasi a creare sulle elezioni libiche, “Saranno i libici a decidere le tempistiche e gli obiettivi – ha detto Salvini – ma stabilire una data per le elezioni in Libia non è utile per risolvere la crisi”.

Se l’intento di Salvini era però quello di buttare acqua sul fuoco, i risultati sono poco incoraggianti. Il giorno dopo la messa in onda dell’intervista, sono arrivate le parole del portavoce del generale Kalifa Haftar, che ha sollecitato Mosca a “eliminare gli attori esterni, per esempio Turchia e Qatar, e in particolare l’Italia, dall’arena libica”. Haftar, che controlla la Cirenaica e soprattutto il parlamento di Tobruk, non è nuovo a uscite contro il nostro Paese, ed è storicamente ostile all’attività italiana in Libia. Tuttavia, nelle ultime settimane, i rapporti con l’Italia sembrano essersi fatti ancora più tesi. Ieri infatti è venuta un’altra doccia gelata per il nostro Paese. Il parlamento di Tobruk ha infatti dichiarato l’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, persona non grata, per le sue dichiarazioni rilasciate sulle elezioni in Libia, “in cui – si legge nel documento rilasciato dal parlamento libico -ha chiesto con insistenza di rinviare le elezioni”, considerate, “una flagrante interferenza negli affari interni della Libia, una violazione pericolosa alla sovranità nazionale e un’aggressione alla scelta del popolo libico”.

Le mosse di Haftar ovviamente rispondono a logiche geopolitiche complesse, che vedono l’Italia impegnata nel difficile compito di stabilizzare un Paese dove di incrociano interessi politici ed economici di tanti attori regionali, che spesso confliggono tra loro. È difficile quindi pensare che siano state le politiche migratorie di Salvini, e i suoi toni accesi sul dossier migratorio a causare l’ostilità dell’uomo forte della Cirenaica per il nostro Paese. Tuttavia, è indubbio che il focus quasi esclusivo sulla migrazione, che viene assurta a emergenza e priorità della politica non solo interna, ma anche estera del governo, rischia di ritorcerci contro. La crisi diplomatica sfiorata con la Tunisia, altro Paese chiave per le dinamiche del Mediterraneo che, prima ancora di ottenere la fiducia, Salvini aveva definito come un’esportatrice di galeotti, è sintomatica del boomerang diplomatico che può rappresentare la strategia del leader leghista sui migranti. Come ricorda l’ambasciatore Massolo nel suo articolo di oggi sulla Stampa, “In Libia la posta in gioco è molto alta, il fenomeno dei flussi migratori ne è solo una componente”.

In Libia come nel Mediterraneo allargato, l’Italia deve difendere interessi ben più ampi. Tra questi troviamo, ricorda l’ambasciatore, “il complesso degli equilibri sul continente africano e in parte del Mediterraneo, la ripartizione die proventi energetici; la lucrosa gestione delle partecipazioni finanziarie, la partita mai sopita del radicamento jihadista; non ultimo il controllo degli innumerevoli traffici illeciti – non solo di esseri umani – che affliggono la regione”.

Limitare il dibattito dei nostri rapporti con la sponda sud al tema migratorio, e condurlo usando toni accesi se non deliberatamente provocatori, paga, per ora, in termini di sostegno interno al governo, ma all’estero rischia di inquinare i rapporti di Roma con i più importanti partner regionali. Questo è ancora più vero per i Paesi arabi del Nord Africa, sempre attenti al tipo di retorica utilizzata nei partner europei e occidentali.

Indebolire quel soft power che l’Italia ha costruito attraverso anni di paziente lavoro diplomatico per inseguire qualche punto percentuale in più nei sondaggi potrebbe non essere la strategia vincente per promuovere i nostri interessi. Piuttosto, queste rischiano di fare il gioco di quegli attori, e sono molti, che vorrebbero tenere l’Italia fuori dalle dinamiche strategiche del Mediterraneo.

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