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Malgrado le smentite dei diretti interessati, l’ipotesi di una patrimoniale resta sullo sfondo. Non se ne parla per scaramanzia, ma il relativo fantasma non è esorcizzato. Moody’s, del resto, con il cinismo che caratterizza l’atteggiamento delle Agenzie di rating, l’ha messo nel conto, quando ha accennato alla solidità delle famiglie italiane, su cui lo Stato può contare. Dovrà, naturalmente, passare altra acqua sotto i ponti. Ma se la prospettiva dovesse peggiorare, chi potrà escluderla?

Per il momento questa ipotesi è stata, ancora una volta, scartata. Ma questo significa, forse, che i cittadini quel taglieggiamento non l’abbiano comunque subito? Certo non nelle forme canoniche, ma se si va alla sostanza, si può vedere come una sorta di patrimoniale è da tempo operante, seppure in una forma subdola, difficilmente distinguibile ad occhio nudo.

Cominciamo dal Tesoro. Il forte aumento degli spread, fino a più di 150 punti sui precedenti valori, porterà un aumento della spesa per interessi di circa 4 miliardi all’anno. Se capitalizzassimo queste cifre (per esempio con uno swap) potremmo evitarne il relativo accollo immediato. Per trasferire il valore capitale, così trasformato, (un centinaio di miliardi) sullo stock di debito, finora accumulato. Vorrà dire che aumenterà nel tempo la relativa quota d’ammortamento, ma intanto avremmo avuto l’illusione di pagare meno. L’equivalenza, comunque, è impietosa: ai tassi di interesse pregressi (prima dell’aumento degli spread) quella maggiore spesa di 4 miliardi comporterà un forte aumento dell’esposizione debitoria complessiva. Non sarà una patrimoniale in senso stretto, ma qualcosa di molto simile, quanto ai relativi effetti. Visto che prima o poi quei conti andranno saldati, con un corrispondente aumento di imposte.

Nel caso dei possessori dei titoli di stato, le conseguenze sono molto simili. L’aumento degli spread riduce, infatti, il valore di quelli emessi in precedenza. Di quanto è difficile dire, data la loro grande varietà e le diverse scadenze. Ma prendiamo, ad esempio, un vecchio BTP all’8,5 per cento, con scadenza dicembre 23. Agli inizi dell’anno valeva 153 euro. Oggi, dopo l’aumento dello spread, ne vale meno di 130, con una perdita secca del 16 per cento.

Senza voler strafare, consideriamo una minusvalenza media (sottostimata) del solo 10 per cento. I titoli posseduti direttamente da famiglie ed imprese (esclusi quelli intestati ai Fondi d’investimento) ammontano a circa 120 miliardi. Le minusvalenze raggiungono pertanto una cifra di circa 12 miliardi. Perdite che non si vedono (ma risultano comunque dai report periodici della propria banca) se i titoli sono conservati fino alla loro scadenza naturale. Ma che emergono in modo virulento, se, per gli alti e bassi della vita, si è costretti a dare fondo al proprio patrimonio.

Ancora peggio è andata a chi aveva azioni. Dall’inizio dell’anno, le quotazioni sono crollate in media del 17 per cento. Allora la capitalizzazione di borsa era pari a 677 miliardi. Alla fine di settembre lo stesso complesso di titoli ne valeva 610, con una perdita quindi di oltre 67 miliardi. A soffrire più di tutti, i titoli del comparto bancario che hanno lasciato sul terreno, dall’inizio dell’anno, oltre il 27 per cento. Alla forte limatura del loro capitale di borsa, si sono accompagnate le minusvalenze sui titoli di stato posseduti direttamente per una cifra ragguardevole. Si parla di oltre 624 miliardi di titoli. La perdita sarebbe pertanto superiore ai 60 miliardi: destinate a riflettersi sui bilanci e ad intaccare il patrimonio di garanzia.

Al momento non sembra necessario il dover ricorrere ad aumenti di capitale per ristabilire i ratio, indicati dalla Bce. Sennonché, al fine di contenere le perdite di bilancio, le banche sono state già costrette a limitare il credito ed aumentare i tassi d’interesse a carico della clientela, prevedendo uno spread maggiore sull’euribor. Vale a dire il tasso d’interesse che le stesse banche pagano sul mercato europeo per rifinanziarsi. Avremo pertanto mutui alle famiglie ed imprese più limitati e ad, al tempo stesso, più cari. Con riflessi immediati sia sui piani d’investimento che sul mercato dell’edilizia.

Il mercato immobiliare – è facile prevedere – che già stentava nel riprendersi dallo shock del 2011, subirà un’ulteriore battuta d’arresto, in un momento in cui sembrava intravedersi una seppur timida ripresa. È infatti evidenti che se i mutui costeranno di più, la domanda di abitazioni è destinata a contrarsi e, di conseguenza, i prezzi delle transazioni a scendere ulteriormente, a meno di non alimentare ancor di più la grande palude dell’invenduto. Avremo, pertanto, un’ulteriore caduta del valore patrimoniale degli immobili. Nonostante la falcidia (circa il 30 per cento in media dei prezzi di mercato) degli anni precedenti.

A tirare le somme di questa patrimoniale occulta nemmeno ci proviamo. Il tiraggio relativo non è stato uniforme, ma è variato a seconda della tipologia degli investimenti effettuati. Unica cosa certa, il soggetto sacrificale: quella classe media che, durante gli ultimi 10 anni di questa lunga stagnazione, ha subito una tosatura senza precedenti. Il che spiega le scelte politiche compiute: l’aver abbandonato i suoi tradizionali referenti politici, sia di destra che di sinistra, ed aver scelto la novità: 5 stelle e la Lega. Anche se poi, visto come stanno andando le cose, rischia di cadere dalla padella alla brace,

Resta comunque il grande paradosso. Gli italiani, seppure con carichi differenziati, hanno provato il morso doloroso di una forte contrazione del valore dei propri patrimoni individuali. Un vuoto a perdere: visto che il debito pubblico italiano (la causa di tutti i mali) non è diminuito ma, al contrario, è ulteriormente aumentato. Ed allora, con il senno del poi, forse era meglio farla questa “maledetta” imposta patrimoniale. Si sarebbe potuta gestire con maggiore equità sociale e, contestualmente, avrebbe abbattuto quel debito che, ancora oggi, ci perseguita e ci taglieggia. Peccato, solo, di essere ormai fuori tempo massimo. E che il governo dimostri di non averne piena contezza.

Una patrimoniale (occulta, per ora) già c’è. I mercati non mentono

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