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I vertici del Pentagono stanno lavorando all’implementazione di nuove strategie per la difesa delle basi aeree a livello globale. L’obiettivo è superare la dipendenza storica dall’Esercito per la protezione delle installazioni, puntando invece su un approccio collaborativo che coinvolga tutte le forze armate.

La crescente capacità missilistica a lungo raggio della Repubblica Popolare, e in parallelo l’avanzamento nelle tecnologie abilitanti per il drone swarming, hanno reso sempre più complessa la tradizionale missione dell’Esercito di difendere le basi aeree. E con l’Aeronautica statunitense che sta costruendo una rete di basi più piccole nel Pacifico per ridurre la dipendenza da grandi installazioni vulnerabili, i sistemi di difesa aerea tradizionali basati su missili Patriot e Thaad appaiono troppo costosi per questa nuova configurazione.

Il Segretario dell’Aeronautica Frank Kendall ha avanzato una proposta secondo cui l’Aeronautica stessa debba assumere la responsabilità della difesa delle basi, ovviamente ricevendo finanziamenti adeguati per soddisfare le necessità che ciò implicherebbe. Tuttavia, diversi leader del Pentagono sostengono un approccio “joint”, che includa l’intera forza congiunta.

Alla fine del 2024 il generale David Allvin, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ha discusso assieme al suo omologo dell’Esercito, il Generale Randy George, una soluzione congiunta per affrontare il problema. Secondo Allvin è necessario andare oltre la divisione tra i ruoli di Aeronautica ed Esercito e riconoscere che la difesa delle basi si colloca in un continuum che va dai droni di piccole dimensioni fino ai missili balistici. “È un nuovo ambiente operativo che richiede una risposta congiunta”, ha dichiarato Allvin, “non possiamo limitarci a litigare su chi debba fare cosa. È il momento di stabilire ruoli e responsabilità chiari attraverso l’intero apparato militare”.

In un recente rapporto del Hudson Institute gli autori sottolineano la necessità di strategie più avanzate per la difesa delle basi aeree, evidenziando il ritardo degli Stati Uniti rispetto agli investimenti cinesi nella protezione e nell’espansione delle loro installazioni. Il documento propone tre raccomandazioni principali: costruire infrastrutture resilienti con difese sia attive che passive, schierare sistemi capaci di operare su lunghe distanze e per periodi prolungati, e costringere la Cina a investire in costose misure difensive attraverso lo sviluppo di nuove classi di armi economiche e innovative.

Implementare queste raccomandazioni richiederà risorse finanziarie significative. Tim Walton, senior fellow presso il Hudson Institute, ha suggerito che il Dipartimento della Difesa dovrebbe riallocare i fondi, spostando risorse dalle forze terrestri alle capacità per la difesa aerea. Secondo Walton, questa scelta rappresenterebbe una delle decisioni più importanti per il futuro design delle forze armate e richiede il supporto di un Segretario alla Difesa disposto a dare priorità all’Esercito per rafforzare le sue capacità di difesa aerea, specialmente nella regione indo-pacifica.

La possibilità che l’Aeronautica assuma la responsabilità della difesa delle basi non è priva di rischi, soprattutto se non vengono allocate risorse adeguate per svolgere questa missione. Tuttavia, il quadro complessivo richiede un ripensamento delle priorità e una stretta collaborazione tra le forze armate per affrontare le nuove sfide del warfare moderno. Con l’evoluzione delle capacità militari cinesi e la crescente vulnerabilità delle basi aeree statunitensi, questa decisione sarà cruciale per mantenere la supremazia americana nel Pacifico e in altri teatri chiave.

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