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Le promesse della Turchia e dell’Argentina di sostenere la lira e il peso non hanno portato conforto nella maggior parte dei mercati emergenti. Il dollaro avanza a causa delle crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti sul commercio e, parimenti, si incrementano i timori per un effetto a cascata nei rispettivi mercati collegati. Anche la geopolitica è un elemento che preoccupa in caso di eventuale crac.

TIMORI

Gli analisti sono certi che le misure annunciate non sono probabilmente sufficienti per portare a un significativo miglioramento dei fondamentali. Che cosa hanno in comune quindi le crisi di Turchia e Argentina? In primis sono state l’epicentro del tumulto dei cosiddetti mercati emergenti. Il motivo? Gli investitori stanno intrecciando le singole deficienze strutturali interne con i venti contrari globali, tra cui la politica delle singole banche centrali e la disputa commerciale tra Cina e Stati Uniti che ha un peso significativo.

Per cui, è la vulgata che circola con insistenza tra i maggiori analisti internazionali, i rischi di contagio da Argentina e Turchia sono in crescita perché si tratta di due mercati con disavanzi delle partite correnti e alti tassi di inflazione.

Il caso dimostra che l’accumulo di riserve in valuta estera come forma di autoassicurazione contro gli shock finanziari esterni non è sempre efficace. Né i tassi di cambio fluttuanti garantiscono.

QUI ANKARA

Ankara interviene però in ritardo: la Banca Centrale della Turchia ha promesso di agire dopo che l’inflazione ha raggiunto il 18%, in rialzo rispetto al 15,9% fatto registrare a luglio. Per questa ragione gli investitori si chiedono se quindi l’istituzione sfiderà finalmente la richiesta del presidente Recep Tayyip Erdogan di mantenere il credito a basso costo. Una decisione è annunciata per il 13 settembre in occasione della riunione del Comitato per la politica monetaria.

Intanto nel paese i prezzi alla produzione da tempo indicavano che le pressioni sui costi si stavano rafforzando. L’aumento dei prezzi dell’energia dovrebbe continuare anche nel mese di settembre a causa dell’aumento dei prezzi dell’elettricità e del gas naturale e dell’effetto sospensivo del regolamento sui prodotti petroliferi.

Il paniere dei prezzi la dice lunga: ad agosto i prezzi del cibo avevano fatto segnare un calo dello 0,06 rispetto al mese precedente. Tuttavia l’aumento repentino del 6,53% (latte, uova e formaggio) è diventato indicativo e ha influito sulla statistica attuale. I prezzi al consumo di agosto rispetto a luglio fanno segnare il più alto aumento, con più 25,56%.

Ciononostante il governo sostiene ancora che non vi sia alcun allarme, senza che si allontani l’ombra del capital control. Secondo il ministro del Tesoro e delle Finanze, Berat Albayrak, gli aumenti temporanei dell’inflazione sono stati normali a breve termine a causa dell’aumento dei prezzi delle importazioni.

QUI BUENOS AIRES

Il presidente Macri ha annunciato il lancio di un piano di forte austerità, con l’obiettivo di fermare l’emorragia della valuta nazionale. I dati fanno segnare un calo del 16% del valore del peso in una settimana, portando le perdite della valuta locale a quasi il 50% rispetto al dollaro dall’inizio di quest’anno. Si parte con tagli verticali ai ministeri e nuove tasse sull’export per ridurre così il deficit commerciale.

“Non dobbiamo spendere più di quanto abbiamo” è il ritornello che ripete negli ultimi giorni, anche per tentare di far invertire la rotta ai mercati, assolutamente sfiduciati. Inoltre chiederà al Fondo Monetario di anticipare una tranche di aiuti promessi al Paese così da avere più liquidità in breve tempo.

“Questa non è solo un’altra crisi: deve essere l’ultima”, ha detto Macri in un discorso televisivo, aggiungendo che le tasse sulle esportazioni sono una misura di emergenza che sarà revocata non appena la situazione di emergenza sarà stabilizzata. Certo, ha aggiunto, esiste il rischio che i livelli di povertà aumentino a causa di un’inflazione che supera il 30%, ma ha detto che il governo avrebbe fatto uno sforzo per rafforzare alcuni programmi sociali.

La fascia più debole della popolazione infatti è quella che cresce più di altre: oltre il 28% degli argentini vive in regime di povertà, nonostante il paese sia la la terza più grande economia dell’America Latina.

Un primo passo concreto però potrebbe andare nella direzione opposta ad uno dei punti strategici del programma con cui il 59enne di origini italiane è stato eletto nel dicembre 2015: rimettere la tassa sulle esportazioni di prodotti agricoli.

Nel paese però monta la protesta contro il Fmi, ricordando i provvedimenti post crisi finanziaria del 2001. Tre mesi fa Macri bussò di nuovo alla porta dell’ente portando a casa un accordo triennale da 50 miliardi di dollari. Anche se ad oggi non c’è ancora la certezza su quei numeri e sulle condizioni del maxi prestiti, tranne sui primi 3 miliardi di anticipo chiesti proprio dal Presidente.

twitter@FDepalo

 

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