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L’epoca delle divisioni e degli indugi è finita, ora è arrivato il tempo del coraggio per rimettere insieme quella che Ivo Tarolli definisce “l’area cristianamente ispirata“. E, quindi, “le culture socialiste, socialdemocratiche, popolari, liberali e liberaldemocratiche” con l’obiettivo di creare un soggetto politico unitario che sia in grado “di ricomporre il tessuto del Paese dopo gli ultimi venticinque anni di scontri e senza progettualità che hanno fatto solo del male all’Italia“. In questo senso, certo, un impulso importante è stato rappresentato dalla recente intervista ad Avvenire con cui il presidente della Cei, il cardinal Gualtiero Bassetti, ha auspicato “un impegno concreto e responsabile dei cattolici in politica“. Tuttavia – come ha sottolineato in questa conversazione con Formiche.net l’ex senatore e presidente dell’associazione Costruire Insieme, Tarolli – quello in via di formazione non deve essere, e non sarà, “il partito dei chierichetti, bensì una forza politica eterogenea, larga e inclusiva“. D’altronde – ha aggiunto lo stesso Tarolli – “dalle gerarchie non bisogna aspettarsi ciò che non spetta loro. La politica è terreno dei laici! Sono i laici che devono sbrogliare la matassa, se sono capaci di intuizioni e progettualità“.

Tarolli, perché ritiene che oggi vi sia più che mai bisogno di un partito di ispirazione cristiana?

Perché le politiche fondate sui soli numeri, svincolate da un approccio basato sulla cultura, lasciano il tempo che trovano. C’è bisogno di qualcosa di diverso, di un’alternativa che non può che avere radici culturali: la proposta politica ne rappresenta semplicemente la necessaria conseguenza. Siamo di fronte a un passaggio epocale.

Quindi, a suo avviso, la prima e fondamentale esigenza è di carattere culturale?

Oggi assistiamo alla tragica mancanza di sintesi tra i contenuti dello spirito e le problematiche concrete. L’occidente è vittima dello strapotere del super ego: l’incapacità di farsi carico delle difficoltà degli altri e di costruire comunità che rappresenta, invece, l’elemento imprescindibile per la realizzazione delle persone. Non c’è condivisione, non c’è spirito di squadra. Gli attuali partiti non sono stati in grado di declinare correttamente le radici dei problemi della società e il risultato sono le macerie che ci troviamo di fronte. Ragioni profondissime che richiedono il ritorno in campo della nostra cultura per offrire un contributo alla rinascita del Paese. È giunto il tempo del coraggio.

Che tipo di risposta pensa che un’offerta politica di questo tipo possa trovare in Italia? Questo è pur sempre il Paese che ha scelto di mandare al governo Movimento 5 Stelle e Lega…

Lo spazio politico è enorme: quasi il 50% delle persone in Italia non va a votare. Perché? Semplicemente non si riconoscono nelle proposte che gli attuali partiti formulano per il futuro del Paese. Il 4 marzo molti italiani hanno scelto la radicalità ma si è già capito che questa strada non è la migliore per offrire una risposta concreta alle esigenze dei cittadini. Lo dicono tutti i sondaggi: esiste una prateria che ovviamente non è semplice da conquistare. Non basta sommare sigle e partiti, ma occorre mettere in campo un progetto che sia alternativo all’attuale. Oggi Lega e cinquestelle ottengono tutto questo consenso perché manchiamo noi: i voti vanno lì perché non ci sono alternative all’altezza.  Uno spazio che dunque interessa potenzialmente milioni di elettori.

L’appello del cardinal Bassetti quanto ha contribuito all’accelerazione che anche Costruire Insieme ha impresso al processo di costruzione di questa forza politica di ispirazione cristiana?

Ha inciso nel senso che ha scosso e sta scuotendo tanta parte di coloro che erano attivi nella società ma non in politica. Ha fatto sorgere in molti la consapevolezza che occorre attivarsi in prima persona per cambiare le cose. Nelle sollecitazioni del cardinal Bassetti, così come nelle parole del cardinal Pietro Parolin o del vescovo Mario Toso, c’è la convinzione che le forze della classe dirigente cristiana impegnata nella società, se utilizzate in politica, possano dare un contributo fondamentale.

Non c’è il rischio che in questo modo possiate essere percepiti, almeno in parte, come il partito della Chiesa?

Assolutamente no perché – come emerge anche dalle parole del cardinal Bassetti – non si tratta assolutamente di costruire il partito dei vescovi, bensì di sferzare i cristiani a integrarsi e a impegnarsi. Poi sta a tutti noi muoverci di conseguenza. Non è una riflessione che deve essere interpretata in maniera corporativa e identitaria: non dobbiamo escludere ma includere. Ci deve essere sullo sfondo un’ispirazione cristiana che deve essere però declinata in maniera laica, pluralista e pragmatica. La logica è quella dell’unità possibile dopo la diaspora degli ultimi venticinque anni. Questa cultura deve ambire a un progetto che possa guidare il governo del Paese: non una mera testimonianza ma molto di più.

Tarolli con chi state parlando in particolare in questa fase?

Innanzitutto stiamo dialogando con il mondo delle associazioni e dell’università. In questo senso ho incontrato di recente – insieme a Sergio Marini, Marco D’Agostini e Carmine Spiaggia di Costruire Insieme – Leonardo Becchetti dell’Università di Tor Vergata. Poi penso anche a Gustavo Piga, a Mauro Magatti, a Stefano Zamagni. Dal punto di vista politico procede l’interlocuzione con numerosi rappresentanti dell’area liberaldemocratica e socialista che comprende, tra gli altri, personalità come Stefano Parisi, Maurizio Sacconi e Stefano Caldoro. E anche realtà territoriali come la Rete Bianca di Giorgio Merlo.

Quali sono i prossimi passi all’orizzonte?

L’obiettivo dell’unità possibile si concretizza attraverso la ricostruzione di una grande area che raggruppi le esperienze associative, culturali e politiche le più eterogenee possibile. E che si dia come strumento di coordinamento una cabina di regia che salvaguardi la storia e la peculiarità di ciascuno ma che nello stesso tempo ci faccia fare un passo avanti nel segno della condivisione. Solo dopo, a nostro avviso, dovrà emergere con metodo democratico il leader.

Ma non teme che senza un leader forte e riconosciuto questo tentativo possa rivelarsi in qualche modo velleitario?

La nostra vuole essere una rivoluzione culturale: parlare solo di leadership è una scappatoia semplicistica. E semplificare le cose complicate è un errore. Il leader sarà un punto di arrivo obbligato ma è la squadra che lo sceglie e nessun altro. Il leader deve emergere dalla naturalità della testimonianza.

E intanto vi preparate a dare alle stampe un nuovo libro che sarà una sorta di manifesto politico. È così?

Si intitolerà “Codice etico, contenuti programmatici e scuola di alta formazione economica“. Un libro che già dal titolo indica il percorso che stiamo compiendo. E che punta anche a formare una nuova classe dirigente di qualità. Finché le élite parleranno “ex cathedra” non usciranno dall’angolo degli assediati. Solo quando torneranno a sedersi accanto alle persone e a prestare davvero attenzione ai loro bisogni, potranno essere ascoltate di nuovo.

 

Per i cristiani in politica è arrivato il tempo del coraggio. La versione di Tarolli

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