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C’era una volta la manovra gialloverde. Inutile girarci troppo attorno, della legge di Bilancio a firma Conte-Tria-Salvini-Di Maio non è rimasto molto. Tante buone intenzioni, certo, ma i numeri raccontano di una spinta propulsiva andata via via fiaccandosi nelle ultime settimane.

La trattativa con l’Europa, necessaria per evitare la procedura di infrazione, è costata al governo oltre 30 miliardi, tra tagli e riduzioni di budget, oltre all’aumento dell’Iva, che può costare fino a 23 miliardi nel 2020 (qui l’intervista al capo del Centro studi di Confindustria, Andrea Montanino).

Le cosiddette misure bandiera, reddito di cittadinanza e quota 100, dovevano costare 10 miliardi a testa, ma alla fine non si andrà oltre i 6-7 miliardi per la prima e 4 per la seconda. E poi gli investimenti, con una sforbiciata di 5,4 miliardi rispetto all’importo iniziale. Insomma, tanti soldi lasciati sul terreno nel nome della mediazione con Bruxelles che, almeno dal punto di vista del peso della manovra (la calma dei mercati è un altro discorso), ha avuto il suo prezzo.

E così “della manovra è rimasto in piedi poco o nulla”, ammette senza mezzi termini Michel Martone, economista e giuslavorista, in questa chiacchierata con Formiche.net alla vigilia di Natale. “Prendiamo il reddito di cittadinanza, non ha nulla delle sue caratteristiche salienti, esce snaturato dalla trattativa con l’Europa e dall’esame del parlamento. Ne è stata fortemente influenzata la condizionalità, cioè a chi e perché doveva essere distribuito. Che cosa voglio dire?”, si interroga Martone, “faccio un esempio”.

“Di Maio aveva detto: ‘daremo il reddito di cittadinanza a tutti’. Bene, risultato? Che se lo beccherà solo chi sta sul divano, a casa. Mentre altri che dovevano averlo per davvero non lo avranno per nulla. Questo perché la stessa riforma dei centri per l’impiego è rimasta pressapoco una promessa. Dunque chi non va a cercarsi lavoro, prenderà il reddito, gli altri no. Si capisce come le promesse di Di Maio non risultino in alcun modo mantenute”, spiega l’economista.

L’altra bandiera, stavolta più verde che gialla, è la quota 100. Qui ci sarà un taglio di 2,7 miliardi ai fondi per quota 100, che scendono così da 6,7 a 4 miliardi. La dote per la misura fortemente voluta dalla Lega sale di 1,3 miliardi nel 2020 e di 1,7 miliardi nel 2021. “Anche qui, che cosa ne è rimasto? Non entro nel merito della misura, ma constato un fatto: hanno ridotto le risorse, ma soprattutto il governo si è comportato in puro stile Dc, non affrontando il vero tema, il cosiddetto ‘trattamento generale’ ovvero la legge Fornero, ma concedendo solo delle deroghe alla stessa. Cioè, non è stata attaccata la legge ma è stata concessa solo una deroga. La Dc faceva così. Risultato, in pensione anticipata ci andranno solo in pochi. Non è un successo”.

Volendo tracciare un bilancio complessivo, Martone non se la sente di buttare tutto a mare. “Salvo qualcosa, per esempio la volontà di concentrare l’attenzione al sociale, alle fasce deboli. Questo è sicuramente degno di nota, anche se poi come abbiamo appena detto, ci sono stati dei forti ridimensionamenti. Però non bisogna mai e poi mai dimenticarsi di una cosa e cioè che questa manovra porta in dote un limite enorme, strutturale: la mancanza di crescita. Eccolo il vero problema”.

 

Quota 100 e reddito di cittadinanza. Cosa resta della manovra secondo Martone

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