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Una cultura digitale ancora non pienamente diffusa, penuria di risorse economiche, blocco del ricircolo intergenerazionale, frammentazione degli interventi. Queste alcune delle cause del ritardo che – nonostante i tanti sforzi messi in campo – la Pa italiana continua ad avere nei confronti di un pieno utilizzo delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) per relazionarsi con l’utenza e migliorare l’efficienza.

La digitalizzazione della pubblica amministrazione in Italia è ancora ad uno stadio iniziale, nonostante siano passati molti anni dalle prime sperimentazioni. Cittadini ed imprese interagiscono con la Pa ancora per lo più attraverso contatto diretto allo sportello. Per quanto riguarda i cittadini, questo è in parte dovuto ad un contesto generale in cui la cultura del digitale non è diffusamente attecchita, quindi ad una scarsa richiesta di servizi online, che non stimola le amministrazioni a percepire l’offerta di questi tipi di servizi come una priorità. Al contrario, le imprese, soprattutto le più grandi, che usano già mezzi moderni per rapportarsi con il mercato globale, si rendono perfettamente conto dei vantaggi che comporterebbe l’e-government, e vorrebbero poter utilizzare servizi che ci sono in altri Paesi ma che in Italia scarseggiano.

L’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella pubblica amministrazione italiana si è sempre distinto per una maggior attenzione alla riorganizzazione dei processi interni piuttosto che alla digitalizzazione dei servizi resi agli utenti. Quando è accaduto, si è sottovalutata la parte relativa alla comunicazione delle novità agli utenti, non pubblicizzandole a sufficienza o non spiegando in maniera comprensibile i vantaggi e le modalità di utilizzo dei nuovi strumenti, rendendo nei fatti inutile o non fruibile l’investimento. Motivo per cui in Italia la prassi è stata mantenere i vecchi processi, rassicuranti, accanto a quelli nuovi.
D’altronde, nemmeno l’applicazione delle TIC alle funzioni gestionali interne ha avuto molto successo, visto che il complesso della pubblica amministrazione continua ad essere farraginoso ed oggetto di ripetuti tentativi di riforma andati a vuoto.

Una differenza notevole si nota nelle prestazioni degli enti statali in confronto con quelli locali. I casi di successo e di sistemi funzionali sono quasi tutti riferiti ad enti delle amministrazioni centrali, che per loro natura sono riusciti a creare organicità e stabilità del servizio grazie alla presenza capillare delle sezioni distaccate su tutto il paese. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Agenzia delle Entrate e l’INPS si sono dotati di sistemi informatici e database moderni che permettono agli utenti di interagire per espletare funzioni complesse, come nel caso degli adempimenti fiscali o previdenziali. Discorso a parte è da fare per gli enti locali, che utilizzano sistemi diversi tra loro e non sempre effettivamente rispondenti alle proprie esigenze.

AUTONOMIA E DIFFERENZE GEOGRAFICHE

Lo sviluppo dell’e-government ha dovuto tenere conto della maggiore autonomia riconosciuta agli enti locali con la riforma costituzionale del Titolo V dal 2001, che ha reso la gestione unitaria e coordinata del processo di digitalizzazione più complessa. Lo sviluppo dei piani nazionali di digitalizzazione venivano lasciati all’iniziativa, nei tempi e nei modi, degli enti locali. Nei casi più virtuosi, questi hanno sviluppato progetti di informatizzazione rispondenti alle proprie esigenze: si è trattato principalmente, come ricordato, di progetti legati alla dematerializzazione dei processi interni, con uno scarso orientamento al livello di servizio offerto ai cittadini e alla capacità dei sistemi informativi di “fare rete”. Questo approccio ha prodotto una carenza di standard comuni tra i sistemi delle diverse amministrazioni e ha reso, nell’immediato, i processi incapaci di colloquiare e di condividere agevolmente dati. Ovviamente questa rispecchia le differenze di risorse di cui possono disporre le diverse regioni, riflettendosi in una vasta presenza di sistemi efficienti in regioni come Toscana, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna, contro regioni molto poco attrezzate, come Basilicata e Molise.
Le funzioni basilari dell’e-government, ovvero pubblicità delle informazioni e possibilità di scaricare la modulistica, sono quelle più diffuse, per quanto tutt’ora in alcune regioni meridionali rimane un numero notevole di enti che continua a non mettere a disposizione nemmeno quelle.
Le funzioni avanzate, cioè che prevedono una migliore interazione con l’utenza (inoltro on-line della modulistica, conclusione on-line dell’iter amministrativo e pagamento on-line) sono più diffuse al nord e al centro.

LE RAGIONI

Ci sono molte cause che hanno portato alla diversità di risultati nella digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana. Il problema che affligge tutti è la scarsità di risorse, ma anche in presenza si utilizzerebbero secondo alcuni esperti in maniera disordinata, senza una riorganizzazione profonda dei processi interni alla pubblica amministrazione e con una governance frastagliata. Ci sono vari ostacoli che possono presentarsi durante la transizione all’e-government, e il settore pubblico italiano li ha sperimentati tutti.

Per fare ordine e portare efficienza nell’erogazione dei servizi pubblici sfruttando le tecnologie digitali bisognerebbe rimettere in discussione le procedure e le modalità operative in relazione al conseguimento degli obiettivi dell’amministrazione, razionalizzando i processi e riorganizzando le strutture.
Invece in Italia, soprattutto negli enti locale, le TIC sono state semplicemente accostate alle modalità analogiche in cartaceo, sovrapponendo le soluzioni digitali sulle attività preesistenti, ma continuando in pratica a svolgerle come si era sempre fatto. Per questo motivo gli utenti non sono stati spaesati dai cambiamenti, ma nemmeno ne hanno giovato. Le modalità di esecuzione e l’organizzazione dei processi sono rimasti invariati nei fatti.

RESISTENZE E INSTABILITÀ

Molti degli affanni del processo di digitalizzazione derivano dalla non organicità del percorso seguito nelle politiche intraprese. In origine la priorità era la dotazione di strumenti infrastrutturali per le amministrazioni centrali.

Le prime linee guida in materia furono adottate nel del 23 giugno 2000, con il primo piano di e-governmment, approvato con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri del 25 gennaio 2001, che prevedeva progetti che si realizzarono solo in parte. In quella fase ci si concentrò sulla creazione della Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione (la RUPA, oggi Sistema Pubblico di Connettività – SPC), ma per via dell’avvicendarsi di governi diversi e della revisione dei piani di digitalizzazione, il progetto fu compromesso. Gli ostacoli alla diffusione dell’e-government negli anni duemila sono, invece, riconducibili ai cambiamenti frequenti nei meccanismi di governance del processo.

Gli esecutivi in carica, in questa fase, sono intervenuti ripetutamente sugli assetti e sui compiti degli organismi di supervisione e coordinamento: nel 2003 è stato istituito il Centro Nazionale dell’Informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA), accorpando le preesistenti strutture dell’Autorità per l’informatica nella Pubblica Amministrazione (AIPA) e del Centro Tecnico per la RUPA; nel 2009 una ridefinizione e razionalizzazione del CNIPA ha portato all’istituzione di DigitPA. Nel 2012 DigitPA è stata nuovamente trasformata, dando vita all’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid). Si è pertanto avviato con ritardo quel processo di riaggregazione e accentramento della governance che è necessario per lo sviluppo dei piani di e-government.

MANCANZA DI STANDARD (E NON SOLO)

Ciò ha causato una carenza di standard comuni tra i sistemi delle diverse amministrazioni e ha reso complesso ai processi colloquiare e di condividere agevolmente dati. Ricentralizzare il coordinamento della digitalizzazione all’interno delle pubbliche amministrazioni servirà a mettere ordine ed uniformare i sistemi su scala nazionale, limitando il ricorso alla legislazione concorrente che dal 2001 ha dato troppo potere, non sempre ben utilizzato in materia, alle Regioni.
Infine, pesa la penuria di risorse finanziarie, che impedisce, non tanto di dotarsi di attrezzature tecnologiche moderne, quanto di assumere nuovo personale, più giovane, formato e motivato, che le sappia utilizzare.

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Di Carlo Scuderi

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