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Una conferenza stampa lunga, variegata, senza sostanziali sorprese, di fronte al salone dell’International Trade Center di Mosca riempito fino all’orlo da più di 1700 cronisti, ha chiuso il 2018 di Vladimir Putin. Un anno difficile, segnato da un’economia a rilento e una politica estera molto onerosa per la popolazione, che però porta con sé qualche successo non irrilevante. L’ultimo in ordine è il ritiro dell’esercito americano dalla Siria annunciato, in mezzo alle polemiche, dal presidente Donald Trump. Le dimissioni del segretario alla Difesa Jim Mattis sono solo il primo effetto tangibile del domino. Più difficile avere un’idea degli effetti di lungo periodo della dottrina isolazionista che ha la meglio alla Casa Bianca. “Vedremo se il mondo riuscirà a fare a meno degli Stati Uniti” chiosa in questa intervista a Formiche.net Ivan Kurilla, professore di storia delle relazioni russo-americane all’Università Europea di San Pietroburgo, saggista apprezzato negli Stati Uniti come in madrepatria.

Partiamo da un bilancio della conferenza stampa di Putin.

Dovremmo leggere la conferenza stampa di Putin alla luce delle aspettative che l’hanno accompagnata. C’era un certo allarmismo qui in Russia, si temeva l’annuncio di un nuovo corso di politica estera, si vociferava di un tentativo dell’Ue di annettere l’Ucraina e gettare benzina sul fuoco nelle altre aree contese come Mariupol. Altri parlavano di una stretta dello Stato sul controllo di internet. Per fortuna nessuna di queste speculazioni ha trovato riscontro.

Putin ha descritto una Russia prospera, forte e circondata.

Ha voluto dare l’impressione che tutto stia andando nella giusta direzione. Sinceramente non mi sembra questa la percezione pubblica dell’economia. La chiave di volta della politica economica del governo quest’anno è stata la riforma che ha aumentato l’età pensionabile di cinque anni. Non è proprio il sintomo di un’economia ruggente.

Le sanzioni europee hanno un impatto sulla crisi?

Nel lungo periodo stanno avendo un impatto significativo. Tutti gli indicatori ci dicono che l’economia russa è in stagnazione da diversi anni, la crescita è rasente lo zero. Il ribasso dei prezzi del petrolio e la corruzione hanno fatto la loro parte, ma le sanzioni restano una causa primaria.

Perché Putin minimizza?

È una tattica comunicativa, a mio parere non è la più efficace. Putin sostiene che l’effetto delle sanzioni sia nullo per dare l’immagine di una Russia forte e resiliente. Un altro approccio potrebbe essere mobilitare l’opinione pubblica contro l’Ue sottolineando i danni che le sanzioni stanno infliggendo all’economia. Feriti nell’orgoglio, i russi si stringerebbero intorno alla bandiera e manifesterebbero sotto il Cremlino contro l’Occidente.

Veniamo alla politica estera. Il presidente russo ha messo in guardia da una nuova escalation nucleare. È uno scenario realistico?

È un problema concreto, che ci riguarda da vicino. In questo caso dovremmo dare la colpa tanto alla Russia quanto agli Stati Uniti. Il presidente Trump ha annunciato il ritiro degli americani da molti trattati fondamentali per tenere a bada la proliferazione nucleare, dal trattato Inf agli accordi Start. La nuova generazione di leader globali sembra non voler ricordare il dramma della II Guerra Mondiale e i pericoli corsi durante la Guerra Fredda. Non siamo mai stati così vicini a un’escalation nucleare.

L’ultima scintilla è scoppiata con lo scontro fra Russia e Ucraina nello stretto di Kerch. Rimarrà un “incidente”?

Fortunatamente l’episodio non si è trasformato in un conflitto aperto. Ma non è ancora finita. L’Ucraina finora non ha avuto il supporto sperato dai Paesi occidentali, ed è plausibile che le richieste di Kiev si facciano sempre più pressanti. Non è da escludere un intervento della Nato nel caso in cui si verificasse un altro simile incidente.

Trump ha annunciato il ritiro dell’esercito americano dalla Siria. È una vittoria per Putin?

Sicuramente è una vittoria per Bashar al Assad. Putin, lo ha confermato in conferenza stampa, proverà senz’altro a vendere in patria il ritiro dell’esercito americano come una vittoria. Lo rivendicherà come un successo della Russia sugli Stati Uniti, ma non su Donald Trump, che da molti russi è considerato un leader accondiscendente. Ci sarà un contraccolpo positivo sull’auto-percezione della Russia come potenza.

Ci spieghi meglio.

Dobbiamo ricordare che quando la Russia ha iniziato la campagna siriana era una potenza isolata dalla comunità internazionale per l’annessione della Crimea e l’abbattimento del Boeing Malaysia Airlines. L’intervento in Siria l’ha riportata in auge e l’ha resa un interlocutore obbligato sullo scenario internazionale. Una buona notizia legata al ritiro dell’esercito americano è il venir meno di un possibile scontro con i soldati russi, più volte sfiorato nella regione. Nessuno spera in uno scontro fra Stati Uniti e Russia.

Quanto pesano le dimissioni di Jim Mattis sulla politica estera americana?

È presto per valutarne le conseguenze. Le dimissioni di Mattis sono l’ultimo tassello di una politica isolazionista dell’amministrazione americana. Vedremo se il mondo riuscirà a fare a meno degli Stati Uniti.

kurilla

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