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Viviamo anni in cui l’utilizzo delle categorie che hanno tradizionalmente rappresentato gli schieramenti politici stanno venendo meno, se per alcuni illustri politologi i termini destra e sinistra appartengono ormai al passato, credo sia ancora prematuro parlare di una loro definitiva scomparsa anche perché non sono emerse nuove convincenti espressioni per identificare i partiti che caratterizzano l’attuale panorama politico italiano.

Non credo la dicotomia popolo-élite possa, a lungo andare, definire gli schieramenti che si contrappongono soprattutto perché l’utilizzo del termine élite in accezione negativa non trova riscontro nella storia delle scienze politiche (ricordiamo gli studi dei cosiddetti teorici delle élite Mosca, Pareto, Michels), sarebbe probabilmente più corretto utilizzare un’espressione come “casta” che nella nostra lingua ha assunto una valenza negativa.

In questo quadro politico e linguistico in rapida trasformazione quale collocazione hanno due categorie tradizionali come “il conservatorismo e il liberalismo? È il quesito a cui hanno cercato di rispondere i relatori del convegno Conservatori e liberali nell’epoca di Trump e del governo Conte organizzato al Centro Studi Americani dal movimento di idee Nazione Futura in collaborazione con il Centro studi Machiavelli.

Un evento che si è svolto in occasione della pubblicazione in Italia del libro “Il pensiero conservatore” di Russell Kirk pubblicato nel 1953 negli Stati Uniti e mai tradotto in italiano, un caposaldo del conservatorismo fino ad oggi sconosciuto al pubblico italiano.

Una lacuna dovuta alla cattiva stampa di cui gode il termine “conservatore” nel nostro Paese inteso in un’accezione negativa e spesso confuso con il concetto di “reazionario”, lo stesso avviene con la categoria di “liberale” che è usata sovente come sinonimo di “conservatore”.

Sebbene nel mondo anglosassone vi siano alcuni punti in comune tra il conservatorismo e il liberalismo tradizionale, in realtà questi due concetti differiscono tra loro in primis nella concezione della persona: l’individuo è al centro della visione politica liberale mentre per il conservatore – riprendendo la lezione di Edmunde Burke – è la comunità, intesa come gruppo di individui, ad essere centrale.

Le differenze più marcate emergono in ambito economico laddove il liberalismo sfocia nel liberismo e il conservatorismo si caratterizza per una visione etica dell’economia: profitto sì purché non vada a inficiare una serie di valori considerati imprescindibili e su cui non si può transigere. Ma vi sono anche alcuni punti in comune come il rispetto della libertà intesa come valore primario e imprescindibile nella vita di ogni persona.

La pubblicazione del libro di Kirk è un’occasione per tornare (o iniziare) a parlare di conservatorismo nel nostro Paese nell’auspicio che anche la politica possa essere sensibile a intercettare idee, pensieri e proposte care al pensiero conservatore di cui si sente sempre più l’esigenza nell’Italia contemporanea.

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