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Nel nostro Paese un dualismo economico e un dualismo politico. E meriterebbe un approfondimento particolare la relazione tra questi due concetti. La correlazione tra di essi non è stata sempre la stessa. La storia ci insegna che, quando l’area in ritardo potè sperare in politiche governative più sensibili alle speranze locali di sviluppo, anche i partiti al potere raccoglievano diffuse preferenze.

Il quadro è andato cambiando con il crescere delle delusioni in materia di azione del governo. La crisi iniziata nel 2007 ha colpito più intensamente e più a lungo il sud del Paese. Il Pil è diminuito del 12% tra il 2007 e il 2015, quasi il doppio rispetto al centro-nord. Nel 2016, il prodotto per abitante meridionale è risultato pari al 56% rispetto a quello del resto del Paese. Nel 2017, le prime stime indicherebbero che la ripresa si è consolidata in quasi tutta Italia, ma più marcatamente nella parte centro-settentrionale. Difficoltà maggiori si avvertono in Molise, Calabria, Sicilia e anche in Campania. Gli investimenti fissi privati, le esportazioni (prodotti di raffinazione, chimica, farmaceutica) e il turismo hanno conosciuto incrementi percentuali perfino maggiori in varie aree del sud. Ma, sebbene gli occupati nel meridione siano cresciuti, restano inferiori di oltre 200mila unità rispetto al periodo pre-crisi. Gli investimenti pubblici nell’area segnano il minimo degli ultimi quindici anni, oltre 11 miliardi in meno rispetto al 2002.

Eppure, vi sono settori come la portualità che potrebbero confrontarsi adeguatamente con quella nord-europea. Disoccupazione, disuguaglianza, rischio di povertà e di emarginazione sociale sono invece sentimenti diffusi nel sud. I dualismi storici sono andati cambiando. Il desiderio di fare impresa dei privati si interseca con i limiti della politica verso il sud. Gli investimenti pubblici in declino, la spinta all’emigrazione giovanile più qualificata, le potenzialità che restano inespresse hanno cambiato la relazione tra i dualismi.

La delusione verso lo Stato si è manifestata con il maggiore astensionismo (fino al 40% in Sicilia e Calabria) e con la preferenza accordata a movimenti politici troppo presto da giudicare. Il dualismo politico e quello economico hanno preso una strada diversa rispetto al passato. Ma la speranza è che la nuova strada comporti un programma di azione coerente che si potrebbe articolare in otto direttrici, otto priorità per il meridione. Un possibile manifesto politico per il Mezzogiorno dovrebbe avere come scopo ultimo quello di smuovere gli ostacoli, atavici, che ancora ne limitano lo sviluppo socioeconomico. Per farlo, è necessario adottare una visione globale e onnicomprensiva del sud Italia, intervenendo a ogni livello e in ogni settore.

Innanzitutto, il meridione soffre ancora di un eccesso di burocrazia che, sebbene si motivi con la necessità di limitare la corruzione e la possibile collusione degli apparati pubblici con la malavita organizzata, spesso finisce solo per scoraggiare le iniziative imprenditoriali più meritevoli. In questo senso, andrebbero incentivate delle pratiche tra Pubblica amministrazione e cittadini basate sul silenzio/assenso per velocizzare e alleggerire il carico della burocrazia. Secondo, per affrontare l’emergenza povertà del sud, si potrebbe considerare la possibilità di introdurre una free tax area per le fasce di popolazione a più basso reddito. Terzo, nell’ottica di favorire la diffusione di buone pratiche, sia tra i contribuenti sia all’interno della macchina pubblica, una misura intelligente sarebbe quella di premiare i contribuenti corretti e i dirigenti pubblici che ottengono i risultati migliori.

Una quarta priorità per il meridione, non più rimandabile, è quella di intervenire attraverso programmazione infrastrutturale che sia coerente e non occasionale, possibilmente finanziata attraverso l’alienazione di patrimonio pubblico, senza quindi spese ulteriori a carico dello Stato. In quest’ottica, una programmazione infrastrutturale intelligente dovrebbe senz’altro includere la promozione di assetti urbani ispirati al concetto di smart city, ed è questo il quinto punto, che prevede un uso intelligente delle nuove tecnologie per instaurare un dialogo proficuo tra cittadini e Amministrazione e per applicare soluzioni ambientalmente sostenibili nel contesto urbano. Questi concetti hanno trovato negli ultimi anni vasta applicazione nel nord Italia, lasciando il Mezzogiorno indietro.

Rimanendo nell’ambito infrastrutturale, occorrerebbe riprendere il progetto di Autostrade del mare adottato dalla Commissione europea nel 2001, che identifica nel trasporto marittimo la via per migliorare le comunicazioni dalle regioni periferiche del continente europeo. Per questo, credo che il rilancio del sud passi anche attraverso questo sesto punto, la creazione di una rete marittima per collegare il meridione alla catena del valore europea. Il Mezzogiorno ha inoltre un assoluto bisogno di fare leva su innovazione tecnologica e nuove generazioni per sbloccare l’impasse in cui sembra essere precipitato. Per questo, la settima e l’ottava direttrice dovrebbero essere rispettivamente una politica di incentivazione delle innovazioni tecnologiche e una politica salariale differenziata in base alla produttività, che andrebbe implementata unitamente a politiche di formazione per i giovani che fanno il loro ingresso nel mercato del lavoro. Ciò consentirebbe da un lato di affrontare il tema della disoccupazione giovanile e dall’altro di cercare di colmare il gap di produttività di cui soffre il Mezzogiorno rispetto alle economie delle altre regioni europee.

I programmi di governo formulati dai partiti che hanno raccolto il maggiore successo elettorale non sempre contemplano le priorità che abbiamo formulato. Questo tuttavia non implica che queste non ne siano arricchite. La speranza è l’ultima a morire.

(Articolo tratto dalla rivista Formiche N°135)

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