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L’amministrazione Trump avrebbe approvato dazi su una lunga lista di prodotti Made in China per un valore di circa 50 miliardi di dollari rendendo così operativa una decisione presa una paio di mesi fa. Dopo aver fatto una battaglia per gli scambi commerciali con gli alleati americani al G7, Donald Trump torna all’attacco contro il nemico dichiarato: la Cina, con cui gioca un rapporto intermittente. La notizia è riportata dal Wall Street Journal, che spiega come però non sia ancora chiaro quando la stretta entrerà in vigore. La decisione dunque sarà annunciata nelle prossime ore.

Il presidente si approccia all’omologo Xi Jinping chiamandolo a volte “amico”, come dopo il summit con il nordcoreano Kim Jong-un, quando ha esaltato il ruolo cinese per il buon esito dell’incontro con il satrapo nordcoreano; ma in altri momenti lo accusa di giocare col fuoco, di non fare niente per risolvere i problemi con gli Stati Uniti, e di andare inesorabilmente verso la clava dei dazi. È forse frutto di un comportamento da dealer affaristico con cui Trump gestisce la sua politica internazionale in modo simile al proprio business (è una trama caotica che spiazza gli interlocutori, rompe gli schemi).

La decisione sui dazi cinesi, per esempio, sarebbe arrivata dopo un incontro di alti funzionari economici e commerciali alla Casa Bianca giovedì, secondo  sempre il Wall Street Journal. Ma in quello stesso giorno, il più vicino a Trump tra i giornali, il quotidiano di Wall Street sempre informatissimo su certi argomenti, raccontava del lavorio interno al sistema di governo americano con cui l’amministrazione stava cercando di bloccare un emendamento del Senato che avrebbe rischiato di minare l’accordo chiuso dal dipartimento del Commercio per sollevare le sanzioni precedentemente alzate contro la cinese Zte.

La questione che ruota attorno alla ditta di telecomunicazioni di Shenzen, colpita da un provvedimento con cui Washington l’aveva quasi resa non operativa, è importante perché è considerata un elemento di contatto che potrebbe riscaldare i trade talks, al momento congelati, tra Stati Uniti e Cina; e poi potrebbe essere un terreno di incontro per incentivare la collaborazione sulla Corea del Nord. I nuovi dazi, invece, rischiano di far naufragare entrambi i dossier.

La Cina ha detto che reagirà contro qualsiasi tariffa degli Stati Uniti, il che significa che Trump potrebbe trovarsi a gestire uno scontro commerciale su più fronti: uno con gli alleati, indignati per il trattamento su acciaio e alluminio (le nuove tariffe sono state imposte per ragioni di interesse nazionale, come fossero dei nemici) e l’altro con Pechino.

Arrivare alla resa dei conti con la Cina, peraltro, metterebbe le due maggiori economie del mondo l’una contro l’altra in un momento delicatissimo, in cui gli Stati Uniti che hanno bisogno dell’indispensabile aiuto della Cina per un avviare discussioni più concrete con la Corea del Nord.

L’elenco delle importazioni cinesi tassate sarà probabilmente simile alla lista dei 1.300 prodotti che l’amministrazione ha elaborato in aprile per colpire Pechino, responsabile di aver rubato proprietà intellettuale e tecnologia, e di pratiche commerciali scorrette. Anche se con alcune modifiche: secondo il Wsj , le persone che hanno familiarità con la questione hanno detto che il rappresentante commerciale degli Stati Uniti, che si occupa direttamente della questione, “dovrebbe tagliare alcuni dei prodotti dalla lista e aggiungerne altri, in particolare articoli ad alta tecnologia”.

La Cina aveva già avvertito che avrebbe imposto le proprie tariffe alle esportazioni statunitensi quando l’amministrazione Trump le propose per la prima volta l’idea ad aprile, indirizzandosi contro prodotti come la soia e le automobili. Questo significa che potrebbero potenzialmente colpire gli Stati più vicini a Trump, con effetto magari sulle elezioni di mid-term, e per tale ragione considerate rischiose da alcune parti del Partito Repubblicano, che per ora vive un armistizio interessato con la presidenza, ma in caso di scarsi risultati sui rinnovi dei seggi al Congresso potrebbe aprire una nuova stagione di scontro.

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