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Singapore è piena di spie cinesi che in questo momento hanno un solo obiettivo: raccogliere più informazioni possibili sul vertice di domani, martedì 12 giugno, tra Donald Trump e Kim Jong-un. L’informazione arriva alla NBC attraverso “attuali ed ex” agenti dei servizi segreti americani, anonimi, che spiegano: i cinesi non hanno un posto a sedere a questo fondamentale giro dei negoziati, e per questo cercheranno di carpire tutto ciò che è possibile.

Pechino ha un contatto diretto con Kim, che dovrebbe o potrebbe riferire anche live l’andamento dell’incontro, ma si tratta comunque di info parziali. Dall’altra parte, Washington, difficilmente veicolerà verso la Cina dati, impressioni, dichiarazioni, non filtrate e misurate. E invece la Cina vuol sapere tutto, perché considera il dossier nordcoreano un grande banco di prova per la sua presenza globale.

La Cina è famosa per le sue attività di spionaggio, molte concentrate sugli americani, e i funzionari statunitensi prevedono che i giorni di Singapore – il leader americano e quello nordcoreano sono arrivati già ieri, e le delegazioni avanzate sono da giorni sull’isola di Sentosa, crocevia di pirati un tempo, dove domani si terrà l’incontro – saranno una guerra di spie con i cinesi.

L’Intelligence Community di Washington si concentra particolarmente su tre aspetti: il reclutamento da parte dei servizi segreti cinesi di baristi, camerieri e personale in genere dello Shangri La Hotel, che ospiterà i funzionari americani, e Trump; la sorveglianza elettronica, i cinesi sono famosi per questo genere di intercettazioni e controlli, per questo è previsto che nelle stanze in cui gli Stati Uniti terranno le loro riunioni più riservate verranno montate delle tende speciali dotate di sistemi di schermatura speciali (da poco gli agenti di Pechino aveva nascosto un microfono nella card che faceva da chiave per una stanza d’albergo occupata da tre americani); evitare intrusioni nei sistemi mobile, i cinesi riescono a farlo anche con smartphone e tablet spenti (successe per un Balckberry di un membro dell’amministrazione Obama, durante il viaggio in Cina del 2009) e per questo l’IC ha richiesto agli ufficiali americani di togliere le batterie quando si trovano ad affrontare discussioni sensibili con i colleghi.

Come successo già con la visita del cinese Xi Jinping a Mar a Lago, in Florida, e per il viaggio di Trump in Cina, gli staffer della Casa Bianca hanno ricevuto un briefing di intelligence speciale, in cui i servizi hanno spiegato che i cinesi possono spiarli “in ogni possibile modo” e ricevuto i dettagli tecnici sulle accortezze da utilizzare – in pratica diffidare di qualsiasi cosa, muoversi solo collegati al Secret Service e agli uomini della Cia che li accompagnano. Addirittura, una delle fonti ha raccontato che un generale arrivato negli Stati Uniti per un incontro mesi fa ha platealmente messo il suo orologio sotto la bocca di un collega del Pentagono per cercare di registrare testualmente tutto quello che diceva: è un’attività quasi sfacciata, spiegano, sappiamo che lo fanno, sempre.

Il contesto non è dei migliori. Secondo il Washington Post, per esempio, in queste settimane gli agenti del dipartimento di Homeland Security hanno trovato sistemi di intercettazione sofisticati appena fuori la Casa Bianca: sarebbero serviti per beccare Trump, che è noto usare telefoni senza protezione perché “troppo scomodi”, dice lui, alzando la preoccupazione dell’intelligence, come spiegato da funzionari a Politico una mesata fa.

Questa settimana ex agente della Cia è stato accusato di essere in affari con la Cina, per cui stava compiendo operazioni di spionaggio contro gli Stati Uniti. Pochi giorni fa si è scoperto che un contractor della Marina americana ha subito un hackeraggio da parte di informatici dell’intelligence cinese, i quali gli hanno sottratto 600 Gb di materiale sensibile, anche sui sottomarini statunitensi. Da inizio maggio si sa che i mal di testa, il disorientamento e altri disturbi neurologici, che potrebbero essere innescati da ultrasuoni, hanno afflitto diplomatici americani del consolato di Guangzhou, Cina meridionale, davanti a Hong Kong. Sono sintomi simili a quelli sofferti dai funzionari dell’ambasciata statunitense a Cuba. Non c’è niente di chiaro per ora, ma in questo clima da guerra fredda i sospetti si moltiplicano.

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